Acufene, aspetti emotivi

Gentili lettori, sempre più spesso ho modo di conoscere persone che lamentano un persistente fischio o sibilo udibile soprattutto nei momenti di silenzio, denominato acufene o tinnito. Tale rumore molesto può avere cause organiche di vario tipo ma nella maggior parte dei casi l’acufene si associa a due condizioni:

1) perdita di udito e 2) temperamento ansioso e/o depressivo.

Per quanto riguarda la perdita di udito, va detto che il meccanismo è semplice: l’apparato acustico (dall’orecchio al cervello), tenta di compensare il deficit uditivo divenendo ipersensibile al punto da far sentire suoni che non ci sono. Tale condizione è correggibile solitamente con varie metodiche di pertinenza otorinolaringoiatrica o neurochirurgica.

Più complesso è spiegare il perché ci siano alcune persone che ritengono il proprio fischio nell’orecchio insopportabile e altre che, pur avendolo anche più grave, lo sentono ma se ne lamentano poco, non lo ascoltano, lo dimenticano. Questa considerazione vale per tanti fastidi corporei che vanno dal dolore cronico alle difficoltà respiratorie a infiniti altri piccoli tormenti grandi e piccoli che ci fanno da immancabili compagni di viaggio nella vita.

In generale, si è notato che le persone genericamente più lamentose e insofferenti ai disagi della vita sono quelle ansiose e/o depresse e/o ossessive le quali vivono evidentemente in una cronica condizione di apprensione e di timore per tutto ciò che può essere una potenziale minaccia per sé e per i propri cari. Continua a leggere

Antidepressivi: solo un prestito da restituire con gli interessi

Cari lettori, so di averne già parlato ma visto il gran numero di voi che assume o assumerà antidepressivi, mi sento oggi di sottolineare questo: l’antidepressivo fa migliorare l’umore, fa diminuire le ossessioni, mitiga le fobie, l’ansia e rende il sonno soggettivamente migliore.

Questo è innegabile e per un po’ di tempo potrebbe essere per voi la pillola della serenità; ma tutto questo non dura: il cervello è un sistema complesso che vuole tornare all’equilibrio e ci riesce. L’antidepressivo di solito funziona per qualche anno poi i meccanismi contro-regolatori del cervello prendono il sopravvento e la depressione o le ossessioni, l’ansia, ecc. tornano nonostante l’antidepressivo; a questo punto istintivamente uno tende ad aumentare le dosi ma solitamente questa strategia funziona per poco tempo perché la velocità dei meccanismi contro-regolatori aumenta e il cervello diventa sempre più abile e veloce nel contrastare l’effetto del farmaco, così anche raddoppiando la dose, il miglioramento è breve e modesto. Allora cambiate molecola e questo per un po’ funzionerà ma tutti gli antidepressivi attualmente in uso hanno un meccanismo d’azione simile che il cervello ha ormai imparato a riconoscere e a contrastare.

Insomma, in qualche modo il cervello depresso reclama la propria depressione, il cervello ossessivo vuole le proprie ossessioni, il cervello ansioso vuole riavere la propria ansia, ecc. Se invece che insegnare al cervello a desiderare la serenità attraverso una psicoterapia intelligente scegliete la via furba della biochimica, prendete sicuramente la strada più breve ma fate un debito che dovrete restituire con gli interessi non appena smetterete di assumere l’antidepressivo.
Riassumendo: l’antidepressivo aggrava lentamente la depressione ma non ve ne accorgete perché esso stesso per un po’ copre i sintomi di tale peggioramento.

Mi piace il paragone con Continua a leggere