Paul Erdòs, biografia e aneddoti
/0 Commenti/in AnteprimePaul Erdős nacque il 26 marzo 1913 a Budapest, all’epoca città parte dell’Impero austro-ungarico (attualmente capitale dell’Ungheria, stato sorto nel 1918 dalle ceneri dell’Austria-Ungheria), da una famiglia ebraica non praticante. Fin da bambino Erdős dimostrò un grande talento matematico, tanto da venire accettato dai matematici ungheresi come loro pari. Sebbene la sua grandezza come matematico fosse riconosciuta e confermata dai numerosi premi ricevuti, Erdős divenne famoso per il suo stile di vita “vagabondo”: tra una conferenza e l’altra girovagava tra i continenti presentandosi alla porta dei suoi colleghi matematici annunciando “la mia mente è aperta”. Questa frase significava che egli era pronto a lavorare con il collega e si aspettava che questi lo ospitasse a casa sua durante la loro collaborazione. Erdős era in grado di lavorare anche per 20 ore al giorno e ciò spesso metteva a dura prova la capacità di concentrazione dei padroni di casa, che non erano abituati a tali ritmi. Erdős era solito ripetere, riguardo a questa sua strana abitudine, un motto diventato famoso: “Another roof, another proof” (un altro tetto, un’altra dimostrazione). Erdős era una persona ossessionata dalla matematica e non desiderava soldi o fama. Infatti la maggior parte del denaro che riceveva per le conferenze lo donava per cause benefiche, tenendo per sé solo quanto era sufficiente a soddisfare il suo frugale stile di vita. Dava soldi a tutti i mendicanti. Quando riscosse il suo primo stipendio fu avvicinato da un pover’uomo che gli chiese i soldi per una tazza di tè. Allora tirò fuori dalla busta una piccola somma, che tenne per sé, e gli diede tutto il resto. Si può dire che semplicemente non si curava affatto di ciò che non era matematica. “Alcuni socialisti francesi hanno detto che la proprietà è un furto — diceva. — Io penso che più che altro sia una seccatura. “Non aveva una casa e tutte le sue proprietà materiali erano stipate in due logore valigie che lo accompagnavano ovunque andasse. Dopo il 1971 Erdős incominciò a far uso di anfetamine per poter lavorare meglio. Un suo amico preoccupato per la sua salute lo sfidò a non assumere anfetamine per un mese scommettendo 500 dollari. Erdős vinse la scommessa e dopo aver ritirato la sua vincita disse all’amico: “Ti ho dimostrato che non sono un drogato, ma tu hai fatto perdere un mese di teoremi e dimostrazioni alla matematica. Prima quando mi sedevo davanti a un foglio bianco la mia mente si riempiva di idee e teoremi mentre adesso quando vedo un foglio bianco vedo solo un foglio bianco.” Subito dopo aver vinto la scommessa Erdős riprese le vecchie abitudini. Erdős sviluppò un proprio vocabolario personale: spesso parlava del Libro riferendosi a un ipotetico libro, posseduto da Dio, nel quale erano racchiuse tutte le dimostrazioni sviluppate nella forma più elegante. Quando vedeva una dimostrazione particolarmente elegante e ben fatta era solito affermare che essa venisse direttamente dal Libro. Nel personale vocabolario di Erdős “capo” indicava una donna, “schiavo” un uomo, “epsilon” un bambino (epsilon, in matematica, indica una quantità piccola), “veleno” gli alcolici, “rumore” la musica, “predicare” il tenere una conferenza di matematica, e così via. Erdős utilizzava un suo proprio gergo anche per indicare gli Stati: Samlandia erano gli Stati Uniti d’America (dalla figura dello Zio Sam), mentre Joseplandia era l’URSS (da Josif Stalin). Per il suo epitaffio ha suggerito: “Adesso ho finito di diventare più stupido” (ungherese: Végre nem butulok tovább). Curiosa e anche inquietante la sua idea di Dio, che negli anni quaranta cominciò a chiamare SF, vale a dire Sommo Fascista, immaginandolo infatti come una sorta di despota cosmico. “Con tante brutte cose nel mondo,” spiegava “non sono sicuro che Dio, ammesso che esista, sia buono”. Ammirava il romanzo di Anatole France La rivolta degli angeli, in cui Dio è rappresentato malvagio e il diavolo buono. “L’SF ci ha creati per godersi le nostre sofferenze; concludeva “più presto moriamo più presto sventiamo i Suoi piani”. È morto a causa di un attacco di cuore il 20 settembre 1996 durante un congresso a Varsavia. Paul Erdős, è stato uno dei più prolifici ed eccentrici matematici della storia. Ha lavorato e risolto problemi legati alla teoria dei grafi, combinatoria, teoria dei numeri, analisi, teoria dell’approssimazione, teoria degli insiemi e probabilità.
Anteprima
/in AnteprimeQuarant’anni di riflessioni
Indice
Introduzione p. 7
Anziani 9
- amati nipotini
- una testimonianza vivente del passato
- saggezza, diplomazia, moderazione, politica.
Sugli psicofarmaci
Consumismo, tecnologia e
crisi economica 52
L’eccesso di piaceri e di
comodità: una novità difficile
da gestire 64
Lavoro fisico e lavoro
intellettuale 93
I veri progressi dell’umanità 107
Ricerca di omologhi e
surrogati 129
Cercatori di emozioni
perdute 138
Tra autoaffermazione
e autodistruzione:
un equilibrio instabile 149
- Nevrosi
- anestesia morale
- l’errore della psicologia
Tossicodipendenza 175
Nota biografica 202
INTRODUZIONE
L’idea dell’opera è nata già molti anni fa come desiderio di pubblicare personali intuizioni e riflessioni sul senso profondo e nascosto del comportamento umano; tali riflessioni son diventate per me negli anni convinzioni, ideali e stile di vita.
Svolgendo successivamente la professione di medico e psicoterapeuta mi sono accorto che i medesimi temi, argomento delle mie riflessioni, costituivano i caposaldi psicologici di ogni persona e divenivano problematiche psicologiche nodali nei miei pazienti.
Così son nati 10 brevi capitoli che non hanno certo la pretesa di trattare gli argomenti in modo completo e specialistico bensì di illustrare quanto le persone con cui ho dialogato trovano utile conoscere in materia al fine di acquisire uno stile di vita più sano.
- Mercuri
Anziani
Spesso mi capita di riflettere sulla condizione degli anziani nelle società occidentali: arrivati alla pensione, con figli lontani e salute precaria molti anziani conducono un’esistenza per la quale si stenta a trovare un senso; loro stessi talvolta si domandano perché e per chi sono costretti a vivere. Eppure gli anziani non sono fotocopie sbiadite dei loro anni migliori ma individui con capacità nuove e peculiari: la terza età nella specie umana non è semplicemente una deriva psicofisica conseguente allo sfilacciarsi dell’esistenza ma una fase della vita socialmente indispensabile, ben programmata geneticamente, culturalmente e perfino fisicamente.
A questo proposito l’etologo Danilo Mainardi cita la teoria dello zoologo inglese Wynne-Edwards:
Non esiste alcuna reale ragione – sostiene Wynne-Edwards – per ritenere la canizie conseguenza inevitabile della degenerazione senile, tant’è vero che altri pigmenti si mantengono indefinitamente. Anche la calvizie è molto ben localizzata sia come area sia come sesso: gli altri peli rimangono, e anzi talora crescono ancora più vigorosi, come frequentemente si verifica nel caso delle sopracciglia dei vecchi maschi. La conclusione più logica sembra pertanto che questi cambiamenti siano dei veri marcatori del passaggio a un nuovo rango. Stanno a significare che chi li porta è un membro della <<casta degli anziani>>, a cui è dovuto rispetto per la grande esperienza e la capacità di dare utili consigli. Dalla <<casta degli anziani>> vengono comunemente estratti condottieri, giudici, ministri, presidenti, pontefici, nonché, per antonomasia, i senatori 1
La vecchiaia come fase della vita umana, naturale e programmata, probabilmente non è sempre esistita ma si è ‘formata’ lentamente nei millenni sotto la pressione evolutiva dell’ insostituibile utilità degli anziani; ai primordi della storia umana cioè gli individui in età fertile di famiglie geneticamente longeve trassero dalla collaborazione e cultura dei parenti anziani un tale vantaggio riproduttivo sugli altri giovani del gruppo appartenenti a famiglie meno longeve da selezionare gradualmente, di generazione in generazione, una discendenza capace di raggiungere con sempre maggior frequenza, età sempre più avanzate fino agli attuali ottant’anni e oltre.
Continua Danilo Mainardi:
Egli [Wynne-Edwards] ritiene che da quando l’uomo ha acquisito (attraverso la parola e i suoi derivati) la possibilità di trasferire il cumulo delle sue esperienze alla generazione seguente, il suo arco vitale dev’essere aumentato di 25-30 anni circa, lo spazio compreso tra il termine della fecondità e la morte. E’ questo il periodo in cui si viene a trovare accumulato il massimo bagaglio di esperienze tramandabili. […] Wynne-Edwards assumeva che nessun altro animale, neppure tra i nostri stretti parenti, le grandi scimmie, presenta un lungo periodo di vita post riproduttiva e insieme marcatori fisici specifici della raggiunta anzianità. E riteneva che tale portato evolutivo fosse da ascrivere allo speciale uso umano della trasmissione culturale, tale per cui il prolungarsi della vita può avere un’incidenza positiva per l’esistenza e l’evoluzione dei gruppi sociali.2
L’utilità fondamentale degli anziani sta dunque nel loro essere depositari e divulgatori di conoscenza e di memoria storica.
L’antropologo Diamond, studioso delle società tradizionali, ce ne fornisce un altro esempio:
…per quanto claudicanti, deboli di vista – se non completamente ciechi – e incapaci di procurarsi il cibo senza l’aiuto dei famigliari, quegli anziani svolgevano un ruolo essenziale nella vita del villaggio.[…] La vecchia che mi trovavo di fronte, dunque, era l’ultima depositaria di quelle esperienze e conoscenze: se l’Isola di Rennel fosse stata colpita da un altro ciclone, la sua conoscenze enciclopedica delle varietà di frutti edibili sarebbe stata l’unica risorsa in grado di proteggere gli abitanti dell’isola dalla morte per inedia. Questo e molti altri episodi ci dimostrano come nelle società prealfabetizzate la memoria degli anziani abbia un’importanza essenziale per la sopravvivenza delle generazioni successive.3
Oltre che nella dimensione culturale, l’utilità degli anziani presso le società tradizionali, si estrinseca nella loro possibilità di integrare e facilitare il lavoro dei giovani soprattutto in seno alla famiglia:
Dopo i sessant’anni[…] gli uomini achè vanno ancora a caccia di piccoli animali, e in più raccolgono frutti e aprono sentieri nella foresta quando la banda si sposta da un campo all’altro. I vecchi !Kung invece raccolgono vegetali commestibili, piazzano trappole e assistono i più giovani durante le battute di caccia, interpretando le impronte degli animali e proponendo strategie per catturarli. Fra i cacciatori-raccoglitori hadza della Tanzania, il gruppo femminile più operoso è quello delle donne in postmenopausa, che lavorano mediamente sette ore al giorno raccogliendo tuberi e frutti. 4
Da alcuni decenni però le cose sono cambiate: l’abbandono della vita agreste, l’individualismo esasperato, la svalutazione delle tradizioni, la separazione dei figli adulti dai genitori con conseguente mancanza di nipoti da seguire, sono tutti fattori che hanno favorito l’emarginazione degli anziani i quali si ritrovano spesso a vivere soli, magari trasferiti in città ansiogene e caotiche dove stentano a trovare una propria utilità perché le attività cittadine sono standardizzate su un modello adatto al giovane adulto sano ed economicamente produttivo.
Anche gli anziani pur nati e vissuti in città erano avvezzi ad una struttura urbana più umana: c’è una differenza enorme tra le città di oggi e quelle di settant’anni fa.
Chi era nato e vissuto in campagna poi ha visto a tarda età il cemento sostituire l’erba e l’orrenda periferia della città confinante avanzare divorando terra, operosità contadina e pace.
Così Luis-Ferdinand Cèline nel suo Viaggio al termine della notte del 1932 :
Le porte dell’orto sono socchiuse. Il grande cortile è vuoto. La cuccia del cane anche. Una sera come questa, ormai molto tempo fa, i contadini hanno lascito le loro case, cacciati dalla città che usciva da Parigi. Non ne restano che una o due di bicocche di quei tempi, invendibili e ammuffite e già invase dalle glicini stanche che ricadono dalla parte dei muretti scarlatti di manifesti. L’erpice appeso tra due colatoi continua a far ruggine. E’ un passato cui non si da più peso.[…] Tutto il quartiere sussulta senza lamentarsi sotto il ronron continuo della nuova fabbrica.5
Anteprima
/in AnteprimeIntroduzione
Per tranquillanti intendo i farmaci che si usano comunemente per dormire, per stemperare la tensione nervosa e lenire l’ansia. Sono chiamati anche ansiolitici o, tecnicamente, benzodiazepine (BDZ), dal nome chimico della loro molecola.
Le prime benzodiazepine furono commercializzate intorno al 1960 e si piazzarono subito tra le molecole più vendute al mondo perché rivoluzionarie nella loro efficacia, sicurezza e maneggevolezza: agivano sull’ansia senza dare sedazione o sonnolenza marcate, non sembravano tossiche neanche ad alte dosi, interferivano poco con altri farmaci o malattie e davano una sensazione di oblioso benessere.
Questo, a distanza di cinquant’anni, è rimasto sostanzialmente vero.
Alcune cose però, pur visibili fin dall’inizio, sono state sottaciute e trascurate, con tacita intesa tra chi le produceva, le vendeva, le prescriveva e le assumeva:
1) il loro eclatante potenziale d’abuso e dipendenza dovuto alla piacevolezza dell’effetto e alla gravosità dei sintomi astinenziali.
In Italia (e in tutti gli altri Paesi ricchi) si stima che il 10% della popolazione adulta ne sia assuntore più o meno continuativo e che ben il 5% sia caduto nella trappola del consumo cronico; anche tra gli adolescenti, il 10% le assume a scopo unicamente ricreativo, saltuario all’inizio (magari rubandole ai genitori) ma probabilmente cronico poi.
2) i non trascurabili effetti collaterali a lungo termine.
Se è vero che le BDZ sono estremamente efficaci e scarsamente tossiche per poche settimane di utilizzo, è altrettanto innegabile che a lungo andare provochino danni nella sfera cognitivo-affettiva: memoria, attenzione, concentrazione, agilità mentale, tono dell’umore, vitalità, motivazione, iniziativa, interessi e determinazione, tutte qualità di un cervello giovane e sano, vengono degradate. Sembra inoltre che il cervello impieghi molto tempo per riparare completamente tali danni dopo la totale sospensione delle BDZ.
3) il dilagare dell’epidemia di dipendenza da BDZ.
Nonostante il grave problema mondiale della dipendenza da BDZ, troppo poco è stato fatto per arginarlo:
–pochissimi studi onesti ed approfonditi sui reali effetti delle benzodiazepine a lungo termine.
– poca educazione di medici e popolazione generale sugli effetti a lungo termine e sulle tecniche di disintossicazione.
– pochi centri dedicati esclusivamente alla disintossicazione da BDZ perchè la personalità, lo stile di vita e l’ambiente del mono-dipendente da benzodiazepine sono assai diversi da quelli del tossicodipendente da eroina, cocaina ecc. quindi non si può, come invece ancora oggi si fa, accoglierli tutti insieme usando gli stessi metodi di disassuefazione.
Questo piccolo manuale, che raccoglie le principali domande dei miei pazienti sulle BDZ e su come interromperne l’uso, si propone di:
a) dare ai lettori le conoscenze di base sufficienti a capire il meccanismo d’azione, il rischio di dipendenza e la tossicità delle BDZ
b) prevenire l’abuso di BDZ evitando che adulti sani e, peggio ancora, adolescenti, caschino con leggerezza nella trappola di un farmaco ancora troppo facile da ottenere ed assumere. Va smantellata la convinzione che questi farmaci siano sostanze innocue, sicure e curative. Le BDZ possono essere estremamente utili se usate come sintomatici per poche settimane in chi ne ha realmente bisogno ma estremamente dannose se ne si abusa; e per abuso intendo:
– usarle senza averne bisogno
– usarle in dosi superiore a quelle prescritte
– usarle per un periodo di tempo superiore a quello terapeutico
Molta gente comincia a prenderle per lenire frustrazione, rabbia, ansia, solitudine, senso di noia o per riuscire a sopportare uno stile di vita sbagliato. Il momentaneo sollievo è quasi garantito e sembra più facile ingoiare una pillola che cambiare vita, ma il rischio è di cadere nell’assuefazione, nella tolleranza e nella dipendenza così poi, oltre ai problemi che già c’erano se ne aggiunge uno nuovo.
Altro mio intento è:
c) fornire alla persona comune che desidera liberarsi dalla schiavitù delle BDZ le conoscenze e gli strumenti per farlo da sola, senza ricorrere a metodi drastici e di incerto successo come ricoveri o terapie psicofarmacologiche sostitutive.
d) incoraggiare, supportare e dare fiducia a chi desidera smetterne l’uso: la dipendenza da BDZ non è una grave tossicodipendenza, ne si può uscire facilmente anche da soli e a testa alta: basta usare il metodo giusto.
In Inghilterra è stata fatta una efficace campagna pubblicitaria e di sensibilizzazione della popolazione generale e dei medici nei confronti di abuso e danni da BDZ tanto che il consumo in questi ultimi anni è crollato; la brutta sorpresa è che l’abuso si è solo spostato su psicofarmaci ancor più tossici come neurolettici e antidepressivi. Dall’esempio dell’Inghilterra dobbiamo imparare che il contrastare l’utilizzo di una droga ha senso solo se inserito nell’intelligente contrasto ideologico di tutte le dipendenze e, parallelamente, nell’istituzione e promozione a livello governativo di uno stile di vita più sano e naturale.
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Indice
Quale è il metodo migliore per liberarsi dai tranquillanti?
Se voglio provare da solo come devo fare?
Qual’ è il ritmo giusto con cui diminuire?
Bdz e interazioni farmacologiche
Bdz e febbre
BDZ, sistema immunitario e allergie
Bdz, gravidanza e allattamento
Ma il sonno da bdz è normale?
Scalaggio e psicofarmaci sostitutivi
Scalaggio bdz e ricovero in clinica
Scalaggio e flumazenil
E’ vero che le bdz possono provocare la demenza?
Per quanto tempo si possono prendere?
Ho provato a smettere molte volte ma ho sempre ricominciato
Le bdz provocano danni permanenti al cervello?
Che differenza c’è tra le varie benzodiazepine? E’ vero che ognuna ha il suo effetto?
Si può guidare prendendo BDZ ?
BDZ e memoria
BDZ e sesso
BDZ e depressione
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TRANQUILLANTI
come liberarsene
domande e risposte
Cosa sono le benzodiazepine?
Le benzodiazepine sono psicofarmaci noti anche come tranquillanti o ansiolitici e commercializzati in tutto il mondo a partire dagli anni sessanta; hanno cinque funzioni: rilassano i muscoli, contrastano le crisi epilettiche, tolgono l’ansia, facilitano il sonno e, mentre si è sotto il loro effetto, riducono la capacità di memorizzare.
Le proprietà miorilassanti e antiepilettiche vengono sfruttate in ambito neurologico,
quella amnesica in chirurgia per evitare che il paziente abbia spiacevoli ricordi legati all’intervento, quella sedativo-ipnotica e ansiolitica vengono ampiamente utilizzate sia in ambito psichiatrico che per lenire disagi comuni e diffusi come ansia e insonnia.
Le BDZ agiscono molto rapidamente dopo l’assunzione, sono molto efficaci, poco tossiche in acuto anche a dosaggi alti e si possono associare a quasi tutti i farmaci e malattie senza problemi.
Agiscono principalmente potenziando l’effetto naturale di un neurotrasmettitore presente nel cervello chiamato GABA, il quale svolge regolarmente le cinque funzioni inibitorie sopra elencate ma agiscono anche sul sistema endocrino le cui centraline (ipotalamo e ipofisi) sono inglobate nell’encefalo e con esso hanno frequenti scambi bidirezionali. Sono stati inoltre trovati recettori per le benzodiazepine nella corteccia surrenale, nei testicoli, nelle ovaie, nell’intestino, in alcune cellule del sangue, nell’ipofisi e nelle cellule gliali.
BDZ simili a quelle commercializzate sono normalmente presenti nel nostro organismo e in alcuni cibi che mangiamo.
Ma allora, se sono sostanze naturali, come possono fare male?
Le dosi presenti normalmente nel nostro organismo o introdotte col cibo sono enormemente più basse di quelle farmacologiche e svolgono probabilmente un utile compito mentre un loro aumento endogeno è associato soltanto a gravi malattie come la cirrosi epatica e lo stupor idiopatico ricorrente, patologie in cui provocano una sintomatologia tossica simile all’effetto delle bdz farmaceutiche.
Che differenza c’è tra le varie benzodiazepine? E’ vero che ognuna ha il suo effetto?
Tutte esercitano i cinque effetti sopra elencati (miorilassante, antiepilettico, ansiolitico, ipnotico, amnesico) ma, essendo le molecole leggermente diverse tra loro, alcune sono più sedative, altre più ansiolitiche, altre ancora più miorilassanti, ecc. ed è per questo che troviamo alcune bdz prevalentemente usate come sonniferi (triazolam, lormetazepam, flurazepam, flunitrazepam), altre come ansiolitici (bromazepam, lorazepam, alprazolam) altre ancora come miorilassanti e anticonvulsivi (diazepam, lorazepam) e infine, soprattutto una, come amnesico (midazolam).
Le benzodiazepine differiscono tra loro anche per la potenza:
0,1 mg di triazolam che è una delle più potenti, equivale ad 1 mg circa di bromazepam , a 10mg di oxazepam e clordiazepossido oppure a 15 di flurazepam.
Ancora, la durata d’azione di una BDZ varia molto da molecola a molecola e dipende principalmente dalla velocità con cui viene smaltita (la cosiddetta emivita: è molto lunga per il diazepam e molto breve per il triazolam).
L’emivita (tempo di dimezzamento del farmaco nel sangue) è importante perché:
1) la lunga emivita di una BDZ è associata ad una lunga durata d’azione ma anche ad un prolungato impegno epatico e ad un maggior accumulo di farmaco nell’organismo
2) le BDZ ad emivita breve, per contro, intossicano meno ma sono a maggior rischio d’abuso perché l’effetto dura poco e cessa bruscamente mettendo il soggetto di fronte a ripetuti episodi d’astinenza.
Perché dovrei liberarmi dalle benzodiazepine?
Le benzodiazepine hanno un’efficacia straordinaria in chi le assume per la prima volta: gli effetti benefici superano di gran lunga quelli collaterali.
Tale “luna di miele” tuttavia non dura più di qualche settimana, poi gli effetti terapeutici scemano rapidamente (assuefazione) e, per ripristinarli, devi aumentare progressivamente la dose (tolleranza).
Se decidi di smettere (sempre gradualmente!) prima che il beneficio cominci a scemare, non hai grosse difficoltà e, dopo qualche giorno di “scombussolamento” dovuto al riassestamento dell’organismo, ritorni come prima; se invece continui, vai incontro gradualmente, nei mesi e negli anni, ad una caratteristica “sindrome da uso cronico di BDZ” la cui gravità è proporzionale alle dosi assunte e alla durata di assunzione: l’ansia ritorna maggiorata per intensità e frequenza con tregue sempre più brevi, l’insonnia peggiora, l’umore si appiattisce, la memoria, l’iniziativa, la motivazione e gli interessi progressivamente si deteriorano ed il tuo comportamento diventa quello di un vecchietto ansioso, anche se hai vent’anni.
Quanto è diffuso l’uso di BDZ?
In Italia il 5% della popolazione generale, il 6% degli adulti e il 19% degli anziani (ultrasessantacinquenni) assume cronicamente BZD (per uso cronico si intende un uso quotidiano da almeno un anno) mentre il 10% le assume in modo più o meno continuativo.
Vi è inoltre in Europa una percentuale del 6% di adolescenti (10% in Italia) che ammette un uso ricreativo-voluttuario sporadico di psicofarmaci ansiolitici (prevalentemente BDZ): tale dato sui giovanissimi è emerso dal rapporto ESPAD 2016 che ha coinvolto 35 Paesi europei per un totale di 96.043 studenti tra i 15 e i 16 anni che nel 2015 hanno partecipato all’indagine rispondendo nelle proprie classi a un questionario anonimo.
Ancora, dai dati epidemiologici emerge che il consumo di BDZ aumenta con l’età, è più diffuso tra le donne e, in Italia, è massimo al Nord forse per mentalità, stile di vita, ambiente ed abitudini prescrittive dei medici.
La BDZ più utilizzata, sempre in Italia, è il lormetazepam, una molecola pericolosa per il rischio di abuso-dipendenza essendo rapida sia l’insorgenza che la fine del suo potente effetto ansiolitico-euforizzante; la formulazione in gocce, inoltre, dotata di buon sapore e di una non trascurabile percentuale alcolica, contribuisce ad irretire nella spirale dell’abuso.
Dopo il lormetazepam, le BDZ più vendute in Italia sono il lorazepam e l’alprazolam che staccano di molto tutte le altre.
Che caratteristiche ha l’assuntore cronico di BDZ?
Chi se ne intende si accorge di avere di fronte un assuntore cronico di benzodiazepine perché costui presenta un quadro caratteristico: dice spesso “non mi ricordo” riguardo ad avvenimenti recenti, ha sbalzi d’umore, irritabilità inspiegabile, disattenzione e vuoti di memoria che lo portano a comportamenti tipici e bizzarri: raccontare sempre le stesse cose credendo sia la prima volta, rifare o ridire una cosa dopo pochi istanti non ricordando di averla appena fatta o detta e/o, ancor peggio, fare o dire il contrario per amnesia o cambio repentino d’idea.
E’ tipica anche la volubilità affettiva, nel senso che lo sfortunato si arrabbia con intensa partecipazione emotiva ma dopo pochi secondi, non avendo una “scia affettiva” dell’episodio, lo scorda e fischietta spensierato. Senza contare la lentezza nei calcoli e una generica poca vivacità cognitiva.
Altra caratteristica è la difficoltà di prendere decisioni pratiche e di formarsi opinioni personali stabili.
La mia impressione di fronte agli assuntori cronici di benzodiazepine è che abbiano, oltre al deficit mnesico e alla labilità emotiva, una lieve menomazione della rete prefrontale.
Cos’è la rete prefrontale e a cosa serve?
La rete prefrontale è costituita dai circuiti neuronali di alcune regioni cerebrali come le cortecce prefrontali (avvolgono la parte anteriore dei lobi frontali), i nuclei della base e l’amigdala: tale rete è preposta alla regolazione delle funzioni mentali più elevate in cui le cortecce prefrontali svolgono un ruolo primario, da cui il nome.
Essa presiede a diverse funzioni:
– sintesi tra affettività e razionalità
– iniziativa, motivazione, capacità di scegliere, decidere, progettare, raggiungere un obiettivo mantenendo fermi nel tempo i propositi e la motivazione.
– flessibilità e agilità mentali per capire ed adattarsi a situazioni nuove o eccezionali.
-capacità di sintesi e di attribuzione della priorità agli eventi senza perdersi nei dettagli
– capacità di prendere decisioni intuitive giuste nel dominio personale e sociale.
– capacità di interpretare correttamente gli atteggiamenti e i sentimenti propri e altrui.
La rete prefrontale è paragonabile al timone di una barca, al motore di ricerca in internet o al direttore di un’orchestra: svolge la funzione di dirigere, trovare e coordinare tra loro le funzioni cognitive più elevate come attenzione, memoria, concentrazione, affettività.
La rete prefrontale è sommamente sviluppata negli esseri umani ed è un’acquisizione filogenetica recente spesso imperfetta e fragile: autismo, schizofrenia, disturbi ossessivi, disturbi da deficit dell’attenzione, immoralità costituzionale sono eclatanti manifestazioni patologiche di deficit mentre la sua fragilità si manifesta nella vulnerabilità ai traumi cranici, alle sostanze tossiche ( tra cui BDZ, l’alcol e droghe) o, temporaneamente, alla semplice stanchezza. La rete prefrontale è collegata al resto dell’encefalo in modo talmente fitto che un insulto chimico o fisico in qualsiasi punto del tessuto cerebrale, anche ad essa distante, ne perturba la funzione.
Ma le BDZ hanno effetti collaterali solo per un’assunzione cronica?
No. Anche durante l’assunzione breve ci sono sonnolenza, sbalzi d’umore, vuoti di memoria, rallentamento psicofisico, rischio di cadute negli anziani, di incidenti stradali o sul lavoro, ed una generica perdita di vivacità, di vitalità, di grinta, di sana aggressività, di determinazione e di motivazione; però, per brevi periodi, il beneficio dell’effetto terapeutico ancora presente può dare ugualmente un senso all’assunzione.
Ma allora quando sono utili le benzodiazepine?
Le benzodiazepine sono utili solo nel breve periodo perché il loro effetto dura poche settimane soltanto. Ad esempio:
-interruzione di uno stato di “male epilettico” (crisi epilettiche che si ripetono una dietro l’altra) oppure in altri disturbi neurologici acuti del movimento o del tono muscolare.
– trattamento di breve durata dello stato d’ansia acuto o dell’agitazione psicomotoria
– ricovero ospedaliero breve in cui si manifesti una marcata sofferenza emotiva.
– superamento del periodo di latenza degli antidepressivi
– in ambito anestesiologico
– nella terapia antalgica
– come sedativo-miorilassanti per piccoli interventi chirurgici o manovre strumentali invasive (colonscopia, gastroscopia, ecc.)
Il linea generale: le benzodiazepine perdono la loro efficacia dopo poche settimane di uso continuativo.
Nell’ambito dei problemi emotivi della persona comune cioè non affetta da specifiche malattie psichiche o neurologiche sarebbe meglio evitare le BDZ perché l’ansia è un campanello d’allarme importante che segnala la presenza di un pericolo imminente non ben definito; fa stare male, di un malessere vago che ci spinge ad identificarne la fonte, a rintracciare il pericolo dicendoci: “Senti che stai male? Devi fare qualcosa a breve reclutando tutte le energie”. Tale pericolo vago e imminente può essere un figlio che da segnali di disagio, il rischio di perdere il lavoro, la prospettiva di avere l’indomani una giornata noiosa e pesante oppure uno stile di vita sbagliato con troppo stress, poco sonno, troppo caffè, ecc. ; qualcosa insomma che minacci l’incolumità fisica o psichica nostra o dei nostri cari.
In tale contesto si capisce che spegnere chimicamente l’ansia sia come mettere a tacere un allarme antincendio senza cercare i motivi per cui è scattato.
Anche nell’ambito d’una sofferenza acuta come un lutto ove è d’abitudine assumere benzodiazepine per lenirlo è da tener presente che, superata la fase acuta, vivere il proprio dolore in modo cosciente e consapevole favorisce la sua elaborazione, a difesa dell’equilibrio emotivo futuro, cosa che non avviene se tale processo è ostacolato dalle BDZ.
Quindi, in linea di principio, la persona comune che non abbia patologie psichiatriche gravi dovrebbe stare lontana dalle benzodiazepine (e, piu in generale, da tutti gli psicofarmaci).
Tuttavia, siccome a questo mondo il mai è da bandire, ci sono alcuni casi in cui sono concesse e forse possono essere di giovamento:
– stemperare uno stato d’ansia paralizzante prima o durante un esame.
– interrompere un’insonnia ostinata con una notte di sonno riposante
– lenire la sofferenza emotiva quando non si è nelle condizioni di reagire (come durante un breve ricovero ospedaliero).
Per quanto riguarda un uso più prolungato (ma sempre nell’ambito di poche settimane) il senso dell’assunzione per la persona sana di mente può essere quello di lenire un periodo di ansia tanto acuta da essere di ostacolo alla soluzione del problema che la causa.
Nel frattempo però, devi darti da fare per risolvere il problema, per uscire dalla condizione ansiogena.
Le benzodiazepine non sono curative, mettono soltanto la sordina alla sofferenza psichica che si chiama ansia, sono come la tachipirina per la febbre.
E’ vero che le BDZ provocano la demenza?
Ci sono forti sospetti che sia così per un uso cronico negli anziani ma la certezza non c’è ancora. Dal dato statistico alla dimostrazione il passo può essere lungo come lo è stato per la relazione tra benzopirene delle sigarette e cancro del polmone. Personalmente penso che il buon senso, per il momento, debba guidarci considerando che:
– anche se il danno non è irreversibile, le bdz comunque provocano, in proporzione alla dose e alla durata di assunzione, un progressivo decadimento cognitivo sia nel giovane che, più marcato, nell’anziano.
-E’ dimostrato che dopo prolungata assunzione (anni), alla sospensione anche totale, tale danno regredisce assai lentamente e forse non completamente.
– è statisticamente dimostrato che la demenza colpisce dippiù le persone con pochi stimoli cognitivi: le bdz mettono a riposo la cognitività quindi è intuitivo pensare che favoriscano la demenza.
Le BDZ provocano danni permanenti al sistema nervoso?
Danni grossolani sembra di no. Tuttavia, …………………
Angelo dott. Mercuri
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