In questa sezione del sito, cercherò di fornire le informazioni più rilevanti sugli effetti degli psicofarmaci.

Antidepressivi serotoninergici (SSRI) e disfunzione sessuale persistente

Aggiornato al 29 /11/24

La disfunzione sessuale post-SSRI (Post-SSRI Sexual Dysfunction, PSSD) è una patologia causata dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina SSRI ed è caratterizzata da disfunzioni sessuali ed emotive che solitamente insorgono già durante l’assunzione del farmaco (vedi il mio articolo “Sessualità e antidepressivi“) e persistono per un tempo indefinito dopo la sospensione. Può, più raramente, comparire solo alla sospensione del trattamento.
Al di là del nome, la patologia non consiste solo in un insieme di sintomi che colpiscono la sfera sessuale ma è solitamente caratterizzata da una più ampia difficoltà a provare piacere ed emozioni in genere, di cui i disturbi sulla sessualità sono solo i riflessi più evidenti.
I sintomi più comuni, che possono essere presenti contemporaneamente o singolarmente, sono:

  • Assenza o riduzione della libido cioè dell’attrazione sessuale, delle fantasie e dei sogni a sfondo sessuale.
  • Perdita o diminuzione della risposta fisica agli stimoli sessuali.
  • Anestesia tattile e termica delle aree genitali (pene, vagina e talvolta anche capezzoli).
  • Disfunzione erettile negli uomini, diminuita congestione e lubrificazione genitale nelle donne.
  • Incapacità o difficoltà a raggiungere l’orgasmo (anorgasmia) o eiaculazione precoce, sindrome da eccitazione sessuale persistente nelle donne (PGAD), una condizione in cui l’eccitamento sessuale è come irritativo ma non è accompagnato da desiderio sessuale.
  • Anedonia orgasmica: può permanere la sensazione dell’orgasmo associata alle contrazioni muscolari ma senza provare piacere.
  • Ottundimento emotivo ed anedonia: può essere diminuita la capacità di provare emozioni (sia positive che negative, può risultare ad esempio difficile piangere o provare “sensazioni forti”), sensazioni edoniche in genere e di legame emotivo, può venire meno il desiderio di intimità di coppia; possono essere presenti apatia, mancanza di motivazione e di stimolo di fare, diminuita la capacità creativa. Musica, hobby o attività prima coinvolgenti possono non risultare più particolarmente attraenti o gratificanti;
  • Riduzione della viscosità e del volume dello sperma;

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Ansia cronica debilitante (GAD): Benzodoazepine, Antidepressivi o Lyrica?

Sempre più persone nel mondo e per ovvi motivi soffrono di ansia cronica (definita ansia generalizzata o GAD) che, se leggera, può essere una condizione sopportabile che spinge all’attività, all’impegno e alla competizione ma se è forte può portare a paralisi dell’attività e depressione. In tale secondo caso dunque urge provvedere. Ci sono in generale tre opzioni terapeutiche farmacologiche: benzodiazepine; 2) antidepressivi; 3) pregabalin (Lyrica). Continua a leggere

Amantadina per i disturbi sessuali da antidepressivi

Uno dei più fastidiosi e debilitanti effetti collaterali dell’uso di antidepressivi serotoninergici è la compromissione dell’attività sessuale sia nell’uomo che nella donna, effetto assai comune che riguarda, seppur con intensità variabile, la maggior parte dei pazienti e il più delle volte insorge già nei primi giorni di cura persistendo poi per tutta la durata del trattamento (anche se vi sono casi fortunati in cui si attenua e scompare col tempo).

La sessualità si compone di tre fasi: 1) desiderio, 2) eccitamento genitale e 3) orgasmo

  1. Desiderio: per il desiderio sessuale molto importante è la corteccia cerebrale limbica, tenuta accesa dai lunghi prolungamenti assonici dei neuroni meso-limbici dopaminergici (lunghi neuroni che hanno il corpo cellulare nel tronco encefalico e allungano i loro prolungamenti dendritici fino alla corteccia limbica). La dopamina dunque accende e mantiene la libido mentre la serotonina, attivando i propri recettori 5HT-R2, abbassa il tono dopaminergico della corteccia limbica spegnendo la libido.
  2. Eccitamento ed erezione: il tono della corteccia limbica è importante sia per il desiderio che per l’eccitamento sessuale (erezione nel maschio, inturgidimento del clitoride e lubrificazione vaginale nella donna) quindi l’azione inibitoria della serotonina su tale regione cerebrale comprometterà anche l’eccitamento; la serotonina inoltre esercita un’azione inibitoria sui rilessi sensitivo-motorii viscerali spinali preposti alla vasodilatazione nel pene e nel clitoride. L’eccesso di serotonina poi, a livello d’organo, rallenta il rilascio del vasodilatatore ossido nitrico, fondamentale per l’inturgidimento dei tessuti erettili (azione esattamente opposta a quella di Viagra e simili)
  3. Orgasmo ed eiaculazione: la serotonina in eccesso può provocare anorgasmia in entrambe i sessi attraverso: 1) Iper-stimolazione dei propri recettori 5HT-R2 e conseguente inibizione, a vari livelli del sistema nervoso, della trasmissione dopaminergica e noradrenergica; 2) Alterazione dei riflessi spinali autonomici simpatici e parasimpatici che alternandosi con esatto tempismo regolano finemente orgasmo ed eiaculazione.

Vedi anche:

Sembra dunque che sia principalmente l’eccesso di serotonina indotto dagli antidepressivi a provocare un calo di attività dopaminergica in certe regioni del sistema nervoso, responsabile poi di tutti i disturbi sessuali provocati da tali farmaci. I farmaci ad azione dopaminergica possono quindi ripristinare il perduto equilibrio tra serotonina e dopamina alterato dall’eccesso di serotonina; questo senza nulla togliere all’efficacia antidepressiva della cura di base anzi, potenziandola con un aumento di iniziativa, motivazione e senso del piacere che solo la dopamina può dare.

A questo proposito va notato che i comuni antidepressivi potenziano i circuiti serotoninergici (SSRI) o tutt’al più serotoninergici e noradrenergici (SNRI) ma purtroppo non potenziano i circuiti dopaminergici che sono fondamentali per il senso del piacere anzi, tendono a smorzarli; forse è per questo che non sempre gli antidepressivi funzionano, soprattutto nelle persone ormai abituate all’assunzione di tali molecole: in tali casi, l’aggiunta di un farmaco dopaminergico non solo migliora la sessualità ma può innescare o potenziare un’azione antidepressiva assente o insufficiente.

Tra i dopaminergici in uso e con pochi e blandi effetti collaterali vi è l’amantadina (Mantadan), utilizzata inizialmente come farmaco antivirale e poi come farmaco antiparkinsoniano (il morbo di Parkinson è caratterizzato da un calo di tono dopaminergico in certe regioni del cervello). Più recentemente l’amantadina è stata apprezzata come adiuvante nella terapia antidepressiva qualora i comuni antidepressivi da soli non funzionino.

Certamente l’eventuale aggiunta di Amantadina sia come potenziatore di una terapia antidepressiva insufficiente sia come correttore dei disturbi sessuali va ponderata da un medico che conosca bene tale molecola perché vi sono alcune condizioni o patologie incompatibili col suo utilizzo. 

Bibliografia:

Ibrahim A. Abdel-Hamid et a. (2016) The drug treatment of delayed ejaculation

A. Mercuri

 

 

Insonnia Cronica: Quviviq (Daridorexant)

Daridorexant (nome commerciale Quviviq) è un farmaco recentemente messo in commercio in Italia che ha come indicazione l’insonnia cronica (insonnia presente da almeno tre mesi e che si presenta almeno 3 notti a settimana). Ha un meccanismo d’azione del tutto differente da qualsiasi altro ipnotico perché agisce inibendo l’azione di 2 sostanze presenti nel nostro cervello denominate Orexine (A e B). Le Orexine, come si intuisce, stimolano il cervello a restare sveglio e dunque Daridorexant, inibendone la funzione, facilita il sonno (occupa senza stimolarli i recettori 1 e 2 dell’Orexina). In realtà, le Orexine non stimolano solo la veglia ma fanno aumentare anche l’appetito (è stata la loro prima funzione scoperta, da cui il nome) e regolano molte altre funzioni tra cui quelle cognitive e il senso del piacere: le Orexine infatti vengono secrete da alcuni neuroni dell’ipotalamo che contraggono sinapsi con molte altre zone del cervello, vicine e lontane.

(Sulla neurobiologia delle orexine e il loro effetto sul senso del piacere molto bello è: Neurobiology of the Orexin System and Its Potential Role in the Regulation of Hedonic Tone )

Rispetto a tutti gli altri farmaci usati per l’insonnia, Daridorexant ha una selettività d’azione per i recettori delle Orexine, cioè non ha affinità per altri recettori, quindi la sua azione dovrebbe essere più pulita e mirata al sonno con meno effetti collaterali; questo sembra verificato nella realtà clinica in quanto Daridorexant esibisce solitamente una varietà di effetti collaterali comuni e blandi; le Benzodiazepine, a confronto, provocano un sonno di durata limitata e qualità scadente dando inoltre disturbi della memoria che si protraggono per molte ore dopo il risveglio; ancora, le BDZ danno notoriamente dipendenza, tolleranza e astinenza: Daridorexant invece, sembra garantire una buona durata e qualità del sonno con un recupero rapido e completo dell’efficienza psicofisica al risveglio. (Vedi,  A Comprehensive Review of Daridorexant 2022)

In uno studio durato 12 mesi (Vedi Daridorexant in Insomnia Disorder: A Profle of Its Use), sembra che Daridorexant abbia mantenuto intatta la sua efficacia  senza necessità di aumentarne il dosaggio e senza la comparsa di effetti collaterali tardivi. Alla sospensione del trattamento, anche brusca, sembra inoltre che Daridorexant non abbia dato sintomi di astinenza.

Il problema principale per chi volesse provare Daridorexant (Quiviq) resta comunque il costo, considerando anche che, se funziona, non funziona subito ma dopo un utilizzo prolungato (non chiedetemi “prolungato, quanto”?: non lo so, credo che ogni caso sia a sé.

Vanno ricordate comunque alcune avvertenze riguardo Daridorexant:

  1. E’ un farmaco immesso sul mercato da poco, quindi poco si sa dei suoi reali effetti che solo chi lo prova può dire; gli articoli scientifici che ne parlano, possono essere infatti più o meno nascostamente pilotati per interessi commerciali.
  2. Un punto non è per nulla chiaro: se le Orexine hanno molte funzioni nel nostro cervello tra cui la regolazione dell’appetito e dell’umore, come è possibile che un inibitore dei circuiti orexinergici come Daridorexant inibisca solo selettivamente la veglia e non dia anche, ad esempio, anoressia e depressione? Sul punto depressione, comincia in realtà già ad esserci letteratura, vedete ad esempio questo autorevole link: https://www.psychiatrist.com/jcp/possible-suicidal-risk-daridorexant-new-treatment-insomnia/
  3. Da quello che ho capito, Daridorexant non funziona al bisogno ma è necessario assumerlo a lungo prima che riesca (forse) a riportare alla normalità un sonno cronicamente disturbato.
  4. L’efficacia di Daridorexant, a quanto sembra, è stata testata su pazienti genericamente classificati come  “insonni cronici” ma nulla si sa del motivo per cui erano insonni. Avevano depressione, ansia, ossessioni, psicosi o soltanto un’insonnia primaria senza altri disturbi? E’ FONDAMENTALE sapere come e se agisce nelle singole patologie psichiatriche e questo ancora non lo sappiamo.

Lasciamo dunque la parola a chi l’ha provato, andate a guardarvi il più autorevole sito americano di recensione sui farmaci Drug.com; Daridorexant ha ricevuto dagli utilizzatori un basso punteggio medio di 4,8 su 10. [Quetiapina 7,6; Mirtazapina 7,1; Tavor 7,4; Gabapentin (simile a Lyrica) 7,5); Trazodone 6,2] Daridorexant for Insomnia Reviews – Drugs.com

E qui sotto, un elenco vastissimo e rigoroso delle opinioni sui sonniferi di Drug.com: https://www.drugs.com/condition/insomnia.html?sort=drug&order=asc

A. Mercuri

 

 

 

 

 

Pregabalin (Lyrica) per l’insonnia

Solitamente l’insonnia, quando da’ disturbi, è secondaria ad altri problemi psichiatrici o ad errori nell’igiene del sonno (andare a letto tardi, fare sport intenso la sera, bere caffè, alcolici o fumare molto prima di dormire) oppure fisici (dolori, disturbi digestivi o respiratori). Quindi dire: “Il mio problema è l’insonnia” è una superficialità con poco significato e sta al medico indagare da cosa l’insonnia deriva. Ogni tipo di insonnia necessita di un’attenta analisi per capirne l’origine: se uno non dorme perché è troppo euforico, si gioverà di basse dosi di antipsicotico (Quetiapina, Olanzapina, ecc.); se non dorme perché ha deliri di persecuzione, quindi per psicosi, dormirà bene con dosi alte di antipsicotici; se non dorme per depressione invece, l’antipsicotico anche a basse dosi solitamente fa male ed egli dormirà meglio con Trittico o con un antidepressivo. Ovviamente se uno dorme male perché ha il naso chiuso dormirà bene liberando il naso e se uno dorme male perché ha dolori dormirà bene con un antidolorifico ecc.

Gli ansiolitici comunque, tra cui ricordiamo benzodiazepine e pregabalin (Lyrica), in generale migliorano il sonno di chiunque e in qualsiasi circostanza. Ovviamente funzionano meglio ove il problema che tiene svegli sia proprio l’ansia.

Pregabalin ha indicazioni ufficiali come antiepilettico, ansiolitico e antidolorifico ma è efficace anche per l’insonnia provocata da dolori (soprattutto fibromialgia, neuropatia diabetica, nevralgia posterpetica) o provocata da ansia cronica. Io aggiungerei che, funzionando spesso da antidepressivo, può migliorare il sonno anche in soggetti depressi. Insomma, pregabalin sembra essere una buona alternativa alle benzodiazepine, per dormire; ha un meccanismo d’azione completamente diverso da esse e non dà i loro problemi cognitivi tipici come vuoti di memoria o rallentamento cognitivo e solitamente, anche dall’esperienza coi miei pazienti, pregabalin ha un effetto ansiolitico piacevole nel senso che non abbassa l’umore o l’energia anzi, in alcuni soggetti può dare euforia; inoltre, Lyrica agisce rapidamente (nell’arco di una settimana) anche sui sintomi somatici dell’ansia (tachicardia, tachipnea, sudorazione, ecc.), mentre con le benzodiazepine serve più di 1 settimana di trattamento per lenire i sintomi somatici dell’ansia. Sembra anche che pregabalin non dia molta assuefazione (cioè non è necessario aumentare rapidamente la dose per ottenere lo stesso effetto) ed è più facile da sospendere delle benzodiazepine.

(Vedi anche il mio articolo Lyrica)

Gli effetti collaterali, qualora usato per dormire (si possono usare dosaggi dai 25 ai 300 mg in unica somministrazione serale) sono solitamente modesti e svaniscono col tempo (un po’di stordimento o sonnolenza al mattino, ovviamente in proporzione alla dose). Ancora, non ci sono particolari interazioni di pregabalin con altri farmaci (a parte se usato ad alto dosaggio in associazione ad oppiacei ad alto dosaggio).  Nemmeno con l’acool o con benzodiazepine sembra avere particolari interazioni (sebbene il buon senso dica di non assumerlo da ubriachi) e anzi, Lyrica sembra essere utile nello svezzamento da alcol e benzodiazepine e nel dell’astinenza da tali sostanze. Lyrica non tocca inoltre la pressione o la frequenza cardiaca e non dà alcun interessamento epatico dal momento che viene rapidamente smaltito dai reni senza essere metabolizzato. Rispetto al sonno indotto dalle benzodiazepine, va notata una cosa importante: pregabalin allunga proprio la componente più riposante del sonno e cioè quella ad onde lente del sonno profondo (SWS dall’inglese Slow Wave Sleep cioè gli stadi 3 e 4 del sonno) correggendo quindi l’insonnia in modo fisiologico (all’opposto, le benzodiazepine accorciano la SWS dando un sonno breve, superficiale e poco riposante). Certamente, a differenza delle benzodiazepine, pregabalin non funziona bene per il sonno se assunto sporadicamente ma va assunto regolarmente e dopo qualche giorno esercita la sua azione.

A. Mercuri

ADHD e la follia delle “cure”

La sindrome da deficit d’attenzione con iperattività (ADHD) è una condizione che si manifesta solitamente fin da bambini ed è caratterizzata dalla triade: 1) difficoltà di concentrazione, 2) urgenza motoria, 3) difficoltà nei rapporti coi coetanei. Viene attribuita ad un difetto del neuro-sviluppo per cui le connessioni tra certe aree del cervello non si sarebbero sviluppate in modo ottimale. Viene attualmente diagnosticata ad una percentuale di bambini altissima, addirittura il 7% dei bambini al di sotto dei 18 anni, la metà dei quali rimarrebbero ADHD a vita. La terapia si basa oltre che sulla psicoterapia, anche sull’utilizzo di amfetamine. Ma è possibile che ben il 7% dei nostri bambini abbia un difetto del neuro-sviluppo? Il mio sospetto è che tale condizione venga grandemente sovrastimata mentre nella maggior parte dei casi si tratta solo di bambini non portati per studiare ma abilissimi a fare altro, tra cui magari bellissimi lavori manuali di tipo artistico o artigianale. Esorto quindi i genitori e i ragazzi a non insistere sulla strada dello studio se non si è costituzionalmente portati per studiare: ci sono molti modi di realizzarsi nella vita in modo perfetto anche senza fare l’università; mentre insistendo nello studio qualora non si sia portati si può andare incontro a gravi problemi di disistima, di droga e di disadattamento. Ultimo accenno alla follia delle “cure”: ritengo deleterio l’utilizzo di psicofarmaci ed in particolare di Amfetamine in bambini e adolescenti che il più delle volte non sono affetti da alcuna patologia ma semplicemente hanno abilità diverse rispetto allo standard che vorrebbe tutti bravi e tranquilli studenti.

Leggi il mio articolo completo qui sotto, sul quotidiano online “La Voce di Venezia”

 

Quetiapina, un antidepressivo atipico

Quetiapina è classificata tra gli antipsicotici di nuova generazione insieme ai noti Olanzapina, Risperidone, Clozapina e altri perchè, a dosaggio alto, è in grado di mitigare i sintomi delle psicosi quali deliri e allucinazioni. Tuttavia Quetiapina è nota al grande pubblico perché, se utilizzata a basso dosaggio, può lenire comuni disagi psico-emotivi quali ansia e insonnia; pochi sanno invece che Quetiapina ha anche importanti proprietà antidepressive e può essere utilizzata per tale indicazione sia da sola o più spesso in aggiunta alla consueta terapia antidepressiva (sertralina, paroxetina, fluoxetina, venlafaxina, ecc.).

Ma come può un antipsicotico con proprietà sedative funzionare da antidepressivo?

Quetiapina, come tutti gli antipsicotici di nuova generazione, è in  grado di stimolare la trasmissione dopaminergica e noradrenergica nella corteccia prefrontale e limbica e quella serotoninergica in regioni del cervello strategiche per l’umore; essa però possiede queste proprietà in modo nettamente superiore alle altre molecole antipsicotiche della stessa categoria. Da notare che l’effetto antidepressivo di Quetiapina compare già dopo 4 giorni di trattamento mentre per i comuni antidepressivi bisogna attendere 3 settimane circa.

Essa infatti:

  • Riduce di numero (down-regolation) gli auto-recettori serotoninergici inibitori presinaptici 5-HT1A posti sui neuroni del rafe mediano (una regione del cervello appena sopra il midollo spinale), neuroni che sono i maggiori produttori di serotonina; tali autorecettori 5-HT1A hanno fisiologicamente la funzione di frenare l’eccessiva liberazione di serotonina dai neuroni del rafe con un meccanismo a retroazione negativa: Quetiapina è in grado di togliere tale freno e consentire il raggiungimento in sede sinaptica di una concentrazione sovra-fisiologica di serotonina che andrà a stimolare intensamente certi gruppi di neuroni postsinaptici critici per l’umore con cui i neuroni del rafe mediano contraggono sinapsi.
  • Stimola i recettori 5-HT1a postsinaptici e inibisce i 5-HT2a posti sui neuroni della corteccia prefrontale e limbica potenziando indirettamente in tali regioni la trasmissione dopaminergica; bloccando Quetiapina in queste stesse regioni solo debolmente i recettori dopaminergici, il risultato netto è un aumento della trasmissione dopaminergica.
  • Blocca in modo potente i recettori adrenergici Alfa 2 (come fa anche Mirtazapina) col risultato di incrementare la liberazione di noradrenalina in regione prefrontale e più debolmente di serotonina dai nuclei del rafe mediano.
  • Inibisce fortemente il recettore 5-HT7 (come amisulpride) col risultato di migliorare l’umore e calmare l’ansia
  • Un effetto peculiare di Quetiapina (in realtà del suo principale metabolita attivo, la Norquetiapina) è, sorprendentemente, di inibire fortemente la ricaptazione della noradrenalina in regione prefrontale (mentre è un debolissimo inibitore della ricaptazione della serotonina): questo aumento di trasmissione noradrenergica è antidepressivo e viene rinforzato dal blocco dei recettori 5-HT2C che produce un aumento sinergico della concentrazione di noradrenalina prefrontale.
  • Inibisce il recettore istaminergico H1 aumentando la liberazione di serotonina dai neuroni del rafe mediano
  • Inibisce la stimolazione dei recettori NMDA da parte del glutammato (come fa eschetamina, un antidepressivo rapido salvavita) favorendo così la liberazione di serotonina dai neuroni del rafe
  • Svolge azione antiossidante sui neuroni del cervello
  • Contrasta la neuro-infiammazione provocata dalla liberazione di citochine, detta neuro-infiammazione (molto attuale in tempi di Covid) che porta a calo di neurotrasmettitori critici come dopamina e serotonina
  • Abbassa entro 1 settimana il livello di cortisolo circolante, notoriamente troppo alto nei pazienti depressi; questo consente al fattore di crescita neuronale BDGF di restaurare regioni cerebrali critiche per l’umore come l’ippocampo, danneggiate da varie cose tra cui lo stress cronico. Da notare che, dopo 1 settimana di trattamento, i comuni antidepressivi, all’opposto di Quetiapina, fanno salire il livello di cortisolo (in accordo con la loro nota e sgradevole azione ansiogena della prima settimana), livello che poi scenderà dopo circa 3 settimane quando comincerà l’azione terapeutica sull’umore.
  • Migliora la respirazione cellulare dei neuroni critici per l’umore e assai vulnerabili allo stress cronico come i neuroni della corteccia prefrontale e dell’ippocampo. Tale respirazione cellulare avviene nei mitocondri, organelli intracellulari preposti alla produzione di energia i quali spesso sono malfunzionanti nelle malattie mentali; il DNA mitocondriale che codifica per gli enzimi della catena respiratoria è ereditato esclusivamente dalla madre e questo rende ragione del perchè certi disturbi mentali si ereditino molto più facilmente dalla madre che dal padre.
  • Migliora la trasmissione GABAergica nell’ippocampo un po’ come fanno le benzodiazepine ma senza dare i disturbi cognitivi di queste.

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Schizofrenia o Depressione?

Cari lettori,

capita talvolta che lo psichiatra in caso di depressione prescriv a un antipsicotico di seconda generazione (Olanzapina, Quetiapina, Aripiprazolo, Risperidone) a basso dosaggio accanto alla consueta terapia antidepressiva e questo comprensibilmente provoca un certo allarme nel paziente: “Perché mi ha prescritto un antipsicotico? Forse ha ravvisato in me le caratteristiche dello psicotico; allora sono molto più grave di quanto pensassi”! Oppure: “Ma se l’antipsicotico abbassa il livello di dopamina come può essere utile come antidepressivo; si è forse sbagliato il medico”? Il foglietto illustrativo degli antipsicotici è poi infarcito di effetti collaterali gravissimi che terrorizzano il paziente.

Vorrei con questo breve articolo rassicurarvi sul fatto che non dovete allarmarvi o temere un errore medico perché talvolta, associare un antipsicotico all’antidepressivo risulta clinicamente molto utile nelle depressioni resistenti in quanto l’antipsicotico di seconda generazione (ASG) a basso dosaggio, in sinergia con l’antidepressivo (ma talvolta anche da solo):

  1. incrementa in modo più o meno diretto la trasmissione dopaminergica in regioni strategiche per l’umore come la corteccia prefrontale, il nucleus accumbens e la corteccia limbica
  2. migliora  il sonno del paziente depresso, spesso insufficiente e disturbato.
  3. quieta la possibile agitazione ansiosa di certi depressi, talvolta aggravata dal trattamento antidepressivo nei primi 7-15 giorni di trattamento.
  4. calma l’eventuale nausea e diarrea dovute a iperattività gastrointestinale da eccesso di serotonina, soprattutto nelle prime due settimane di trattamento.
  5. funziona come stabilizzatore dell’umore nel corso della terapia con antidepressivi, per evitare pericolosi viraggi in mania nelle persone che tendono alla bipolarità.

Certamente, bisogna prima provare a risolvere la depressione col solo uso di antidepressivi ma se non si raggiunge il risultato desiderato, si può associare qualche altro psicofarmaco come potenziamento e gli antipsicotici a basso dosaggio sono una delle prime opzioni. A seconda del tipo di depressione, si può optare per Aripiprazolo se c’è bisogno di una maggiore attivazione adrenergica mentre Olanzapina, Quetiapina o Risperidone, danno un effetto antidepressivo con maggiore componente sedativa.

Per quanto riguarda gli effetti collaterali degli antipsicotici bisogna sempre tenere presente che le case farmaceutiche prudenzialmente scrivono sui bugiardini tutti gli effetti possibili, anche i più rari verificatisi durante prolungati trattamenti a dosaggi massimi; ai bassi dosaggi delle terapie adiuvanti per la depressione invece, la maggior parte degli effetti riferiti sui bugiardini sono da trascurare.

Approfondimento.

Gli antipsicotici di seconda generazione a basso dosaggio danno un effetto antidepressivo, perchè:

  • Stimolano il recettore 5HT1A postsinaptico della serotonina che a livello di corteccia prefrontale e limbica consente la liberazione di dopamina dai terminali assonici dei lunghi neuroni meso-limbici e meso-corticali. L’attivazione dopaminergica della corteccia pre-frontale e limbica ha un noto effetto antidepressivo oltre che di miglioramento cognitivo.
  • Inibiscono il recettore della serotonina 5HT2A con effetto analogo alla stimolazione del 5HT1A
  • Inibiscono (come fa la mirtazapina), il recettore presinaptico adrenergico Alfa 2 con l’effetto di favorire la trasmissione noradrenergica e dopaminergica in diverse regioni cerebrali tra cui corteccia prefrontale e limbica
  • Bloccano il recettore 5HT7, un recettore ancora poco conosciuto il cui blocco ha un effetto antidepressivo, migliorativo su sonno, apprendimento, memoria e regolazione dei ritmi circadiani. E’ localizzato a livello di corteccia cerebrale, ippocampo, ipotalamo, talamo, nuclei serotoninergici del rafe nel tronco encefalico. Si pensa che il potente blocco del recettore 5HT7 da parte di Amisulpride nelle suddette zone cerebrali sia responsabile della potente e rapida azione antidepressiva di tale psicofarmaco antipsicotico atipico.
  • Provocano un calo della trasmissione glutammatergica (liberazione di glutammato) che ha una pronta azione antidepressiva. L’esketamina ad esempio, ha una potente azione inibitoria sul rilascio di glutammato e ha un’azione rapidissima in certi casi salvavita nelle gravissime crisi depressive.
  • Inibiscono il rilascio di cortisolo dalla corteccia surrenalica favorendo l’azione rigenerativa sui neuroni operata dal BDNF cerebrale (brain-derived neurotrophic factor) che ha azione trofica e rigenerativa sui neuroni di alcune aree del cervello.
  • Antagonizzano il recettore 5HT2C facilitando la trasmissione dopaminergica e noradrenergica nel la corteccia prefrontale e nel centro del piacere, il Nucleus Accumbens
  • A basso dosaggio, bloccano gli autorecettori dopaminergici inibitori D2 e D3 favorendo la liberazione di dopamina nella corteccia prefrontale.

Un caro saluto,

A. Mercuri

Antidepressivi: reali benefici ed effetti collaterali

Vorrei soffermarmi ancora una volta sugli effetti collaterali comuni a tutti gli antidepressivi serotoninergici per esortare le persone a cominciare una terapia con essi solo quando tutte le altre strade sono state tentate o quando non c’è più la forza di reagire.

Innanzitutto, è da valutare la presenza o meno di problemi risolvibili che abbiano portato allo stato depressivo; da ricordare infatti che la depressione non è sempre una malattia di sradicare ma è il più delle volte un antico e utile automatismo biologico che, almeno nelle sue fasi iniziali, spinge l’individuo a risolvere i propri problemi ripiegandosi su se stesso in una assidua autoriflessione. Non dimenticate poi che molti studi dimostrano in modo evidente l’utilità degli antidepressivi solo nelle gravi depressioni e non in quelle leggere o medie mentre è da evitarne l’utilizzo in caso di semplice ansia, ossessioni, fobie, panico, insonnia: potreste anche avere un sollievo momentaneo a tali sintomi ma il sollievo dura qualche mese o anno, poi tutto torna solitamente come prima pur prendendo il farmaco; oppure, potrebbero sopraggiungere col tempo sintomi prima non presenti: è frequente infatti che una persona abbia cominciato a curarsi con antidepressivi per ansia cronica e si ritrovi dopo qualche anno ugualmente ansioso ma ora anche depresso, stranamente ossessivo o gravemente insonne. Ancora, come ho già ampiamente spiegato, gli antidepressivi tendono a far peggiorare la depressione sebbene l’effetto del farmaco riesca a coprire per qualche tempo l’aggravarsi della sintomatologia che poi si riaffaccia quando il farmaco non funziona più; in due parole, gli antidepressivi attualmente in uso fanno peggiorare il substrato organico (cioè cerebrale) della depressione perché il cervello depresso in qualche modo vuole la propria depressione e se la riprenderà con gli interessi: se voi gli aumentate la serotonina, lui diminuirà il numero di recettori per essa o la loro sensibilità oppure ne diminuirà la produzione: quando il muro contro muro tra farmaco e cervello sarà completo, la depressione ricomparirà nonostante il farmaco; a quel punto lo psichiatra potrebbe proporvi di aumentare la dose di antidepressivo oppure di cambiare molecola ma il cervello ormai ha imparato a contrastare l’effetto dell’antidepressivo talmente bene e velocemente che anche un raddoppio di dose darà un effimero beneficio mentre il cambio di molecola si rivelerà forse efficace ma solo per un breve periodo perché tutte le molecole attualmente disponibili condividono il medesimo meccanismo d’azione. I disturbi sessuali sono poi un tipico effetto collaterale degli antidepressivi, quello più noto al grande pubblico e forse il più temuto soprattutto dagli uomini. Sembra infatti che l’eccesso di serotonina vada a compromettere i delicati equilibri della sessualità sovvertendoli nelle dimensioni del desiderio, dell’eccitamento genitale e dell’orgasmo. Più in dettaglio:

  • Desiderio: per il desiderio sessuale molto importante è la corteccia cerebrale limbica, tenuta accesa dai lunghi prolungamenti assonici dei neuroni meso-limbici dopaminergici (lunghi neuroni che hanno il corpo cellulare nel tronco encefalico e allungano i loro prolungamenti dendritici fino alla corteccia limbica). La dopamina dunque accende e mantiene la libido mentre la serotonina, attivando i propri recettori 5HT-R2, abbassa il tono dopaminergico della corteccia limbica spegnendo la libido.
  • Eccitamento: il tono della corteccia limbica è importante sia per il desiderio che per l’eccitamento sessuale (erezione nel maschio, inturgidimento del clitoride e lubrificazione vaginale nella donna) quindi l’azione inibitoria della serotonina su tale regione cerebrale comprometterà anche l’eccitamento; la serotonina inoltre esercita un’azione inibitoria sui rilessi sensitivo-motorii viscerali spinali preposti alla vasodilatazione nel pene e nel clitoride. L’eccesso di serotonina poi, a livello d’organo, rallenta il rilascio del vasodilatatore ossido nitrico, fondamentale per l’inturgidimento dei tessuti erettili (azione esattamente opposta a quella di Viagra e simili)
  • Orgasmo ed eiaculazione: la serotonina in eccesso può provocare anorgasmia in entrambe i sessi attraverso: 1) Iper-stimolazione dei propri recettori 5HT-2 e conseguente inibizione a vari livelli del sistema nervoso della trasmissione dopaminergica e noradrenergica; 2) Alterazione dei riflessi spinali autonomici simpatici e parasimpatici fondamentali per regolare finemente orgasmo ed eiaculazione.

Sempre più persone si lamentano del permanere di disturbi sessuali vari anche dopo la sospensione degli antidepressivi, e tale condizione ha ricevuto il none di PSSD. Non si trova nulla per ora con gli esami a disposizione ma è possibile che le alterazioni sessuali avute durante l’uso degli antidepressivi, si scrivono in modo più duraturo, sebbene reversibile, nel DNA sotto forma di modificazioni epigenetiche.

Non tutti sanno poi che la medesima pompa di ricaptazione della serotonina del neurone è presente anche nelle piastrine e nelle cellule dell’apparato digerente. Nelle piastrine essa recupera la serotonina dal sangue e la riporta dentro la cellula ove una corretta concentrazione è necessaria al processo della coagulazione; Continua a leggere

Benzodiazepine & Decadimento cognitivo

La maggior parte delle persone che assume benzodiazepine non è consapevole dei problemi cognitivi che esse provocano e collega solo debolmente i propri vuoti di memoria, la depressione e il rallentamento psicomotorio all’utilizzo di tali farmaci. In realtà, le benzodiazepine sono insidiose perché non sono molto tossiche per l’organismo e apparentemente non fanno danni nemmeno se utilizzate a lungo e a dosaggi alti: il fegato e i reni le smaltiscono senza problemi, non irritano lo stomaco, non aumentano colesterolo, trigliceridi o glicemia, non fanno ingrassare e, soprattutto in chi è abituato ad assumerle, non danno nemmeno sonnolenza o stordimento. Ancora, se il dosaggio è quello comune, non danno grossi problemi sessuali né immediati né futuri (cosa che fanno invece gli antidepressivi), non interagiscono con altri farmaci e possono essere assunte, a dosaggio adeguato, anche da persone gravemente malate. Anche per il sistema nervoso non sembrano particolarmente tossiche (come lo sono invece i neurolettici antipsicotici) cioè non provocano tremori, akatisia, rigidità nemmeno se usate a lungo. Per tutti questi motivi, le benzodiazepine, fin dalla loro prima comparsa sul mercato 60 anni fa circa, sono state prescritte e assunte con grande facilità.
Diciamo che il loro effetto piacevole unito alla mancanza di effetti collaterali eclatanti è il motivo per cui moltissime persone al mondo non rinunciano alle goccine serali anche perché la tensione nervosa e lo stress oltre che l’insonnia, sono compagni di viaggio abituali in questo nostro mondo artificiale e agitato e se c’è una sostanza non tossica che fa rientrare in sé alla fine di una pesante giornata lavorativa, questa è assai gradita e ben accolta.
Ma ci sono ugualmente alcuni motivi più che sufficienti per dire no all’uso quotidiano di questo rimedio facile e apparentemente atossico:

  • Le benzodiazepine usate in modo quotidiano, non danno problemi neurologici evidenti di tipo motorio o sensitivo ma danno un clamoroso deficit delle prestazioni cognitive, in particolare della memoria, il che può rendere difficile l’apprendimento di nuove nozioni o anche il corretto svolgimento del proprio abituale lavoro.
  • Alla lunga abbassano il tono dell’umore, aumentano l’ansia, peggiorano l’insonnia, l’agorafobia, la fobia sociale e le ossessioni. Se il dosaggio è alto, provocano anche disinteresse per il sesso.
  • Se usate a lungo, danno irritabilità, rabbia e maggiore propensione a perdere la ragione e il controllo per motivi banali.
  • Ipotalamo e ipofisi che sono le centrali di controllo del sistema ormonale, sono pieni di recettori per le benzodiazepine quindi una certa inibizione globale della secrezione ormonale, dagli ormoni sessuali a quelli tiroidei è senz’altro possibile soprattutto per alti dosaggi (anche i testicoli hanno recettori per le benzodiazepine)
  • Sono responsabili di gravi incidenti stradali perché, oltre a rallentare i riflessi e diminuire la coordinazione motoria, danno grave distraibilità: se una persona normale, ad esempio, distoglie momentaneamente lo sguardo dalla strada, incuriosito da qualcosa, lo fa solo per una frazione di secondo perché ricorda molto bene che sta guidando mentre se tale persona ha assunto benzodiazepine, rischia di “dimenticarsi” per troppi istanti che sta guidando….e prima di riportare gli occhi sulla strada forse si è già infilato sotto un camion.

Le benzodiazepine, come molte volte ho scritto, andrebbero prese solo saltuariamente oppure, se in modo continuativo, al massimo per 1 mese (stando molto attenti se si guida un’auto); poi andrebbero scalate e tolte perché più lungo è il tempo di assunzione e più è facile diventarne dipendenti e incorrere in disturbi cognitivi che peggiorano col tempo. Inoltre, mentre una assunzione breve o sporadica è assai efficace su sonno, ansia, tensione nervosa, sintomi psicosomatici, l’uso prolungato comporta un graduale peggioramento delle condizioni psicofisiche e del funzionamento sociale.
Purtroppo, sembra che l’effetto deleterio sulla memoria delle benzodiazepine, sia responsabile anche del loro effetto ansiolitico. Esse sarebbero rasserenanti proprio perché compromettendo la memoria fanno vivere su una nuvoletta di obliosa serenità. Mentre infatti esistono aree cerebrali (sulle quali le benzodiazepine agiscono molto bene all’inizio del trattamento, poi sempre meno) responsabili dell’ansia fisica (tachicardia, iperventilazione, vertigini, acufeni, tremori), sembra che l’ansia puramente cerebrale chiamata in gergo “ansia libera” e più comunemente “apprensione” non emerga da un’area precisa del cervello ma dall’attività sincrona e integrata di molte aree cerebrali; è cioè un prodotto complesso della coscienza di sé nel mondo e della paura per il futuro. E’ quindi un prodotto evoluto, complesso, cognitivo e non primitivo e semplice come l’ansia fisica suscitata da una semplice scarica di adrenalina.
Bene, le benzodiazepine sembrano dunque funzionare sull’ansia libera proprio perché provocano una sorta di nebbiolina cognitiva che appanna la memoria dei nostri guai presenti o futuri.
A parte i suddetti gravi pericoli alla guida, la memoria debole e i falsi ricordi rendono la vita dell’assuntore cronico di benzodiazepine più difficile, problematica e irta di errori o trascuratezze, come quella di un anziano con decadimento cognitivo: egli si trova spesso a cercare dove ha messo oggetti, documenti, chiavi e occhiali o si sforza inutilmente di ricordare dove ha incontrato una persona e che cosa si sono detti, o quale fosse la trama dell’ultimo film visto. E la cosa brutta è che nel tempo i disturbi cognitivi non si attenuano come avviene per molti effetti collaterali dei farmaci, ma persistono e si aggravano per il cronico effetto inibitorio che le benzodiazepine hanno, soprattutto sui neuroni di ippocampo e amigdala.
In generale, alla sospensione del trattamento, le prestazioni cognitive del soggetto tornano pressochè normali ma alcuni studi dimostrano che se l’assunzione è stata molto prolungata, il recupero cognitivo completo potrebbe richiedere molti anni o non avvenire. Non che si resti dementi, questo sicuramente no e sembra che l’insorgenza di demenza neurodegenerativa (Alzheimer o altre forme di demenza) non sia né provoca né facilitata dall’uso di benzodiazepine; però dopo anni di sedazione del cervello, il risveglio completo può richiedere molto tempo.

Un caro saluto a tutti,
Angelo Mercuri