Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC)
Tutti abbiamo episodicamente o per brevi periodi pensieri ossessivi (da obsidere, assediare) che continuano ad affacciarsi alla mente nostro malgrado e che cerchiamo inutilmente di spegnere; solitamente sono associati ad uno stato d’ansia e sono relativi ad eventi che temiamo e cerchiamo di evitare che si verifichino; ci domandiamo troppe volte se abbiamo chiuso il gas, la porta di casa, il fuoco sotto la pentola, perchè l’esplosione, l’incendio o il furto in casa sono eventi assai temuti. Oppure temiamo di perdere il controllo vinti dall’irresistibile forza di un impulso contrario alla nostra volontà.
Lo stesso vale per le compulsioni (da compellere, spingere a, obbligare): esse sono conseguenza del pensiero ossessivo, e si presentano come azioni o comportamenti coatti, rigidamente schematizzati tanto da essere denominati anche “rituali”; sono sgradevoli e faticosi da compiere, ne riconosciamo l’inutilità ma ci sentiamo tuttavia irresistibilmente attratti a compierli per scongiurare il verificarsi degli eventi temuti in modo ossessivo. Classica è la sequenza:
- Timore eccessivo e incoercibile di una fuga di gas notturna con visione catastrofica e inaccettabile delle conseguenze (pensiero ossessivo)
- Controllo prolungato ed irrazionalmente eccessivo delle manopole del gas (risposta compulsiva).
Tutti dunque abbiamo ossessioni e compulsioni quindi la differenza tra normalità e malattia è solo una questione di quantità: se cioè le idee ossessive e i conseguenti rituali sono troppo frequenti oppure occupano troppo tempo nella nostra giornata interferendo col funzionamento sociale, lavorativo, affettivo allora parliamo di Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) cioè di una vera e propria patologia.
Ma perché il meccanismo ossessivo-compulsivo è presente, sebbene latente, anche nelle persone normali? Probabilmente perché esso, nelle sue manifestazioni blande e ben applicate è utile alla sopravvivenza.
Se un possibile avvenimento infatti è tanto grave da essere inaccettabile, è normale e anzi necessario che il problema di come scongiurarlo ci si ripresenti continuamente alla mente nostro malgrado (versione fisiologica del pensiero ossessivo) ed è indispensabile che facciamo ripetuti e noiosi controlli sull’affidabilità delle nostre misure di sicurezza (versione fisiologica delle azioni compulsive). Allo stesso modo, se ci innamoriamo di una persona, è naturale e necessario pensare continuamente ad essa e mettere in atto tutte le azioni ed i comportamenti atti a conquistarla.
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo è’ abbastanza frequente, considerando che ne sono affette circa 2-3 persone su cento; si è notata una forte ereditarietà del disturbo ma non è stabilito quanto conti la genetica e quanto invece l’ambiente, l’educazione o l’imitazione dei parenti: ci sono coppie di gemelli geneticamente identici in cui uno ha il DOC e l’altro no; questo dimostra che i geni possono solo predisporre alla malattia ma non determinarla.
Comunque sia, sembra che nei soggetti affetti da DOC vi sia un’alterazione biochimico-strutturale a carico del circuito prefrontale (corteccia prefrontale + nuclei della base) che si riflette nell’incapacità di tenere sotto stretto controllo volontario la propria attività psico-emotiva. Nel corso della millenaria evoluzione di homo Sapiens infatti, la corteccia prefrontale si è sviluppata sempre più divenendo dominante sul precedente cervello istintivo-emotivo rappresentato dai sottostanti nuclei della base: tale predominio corticale ha ampliato enormemente le nostre capacità cognitive ma, essendo una acquisizione filogenetica complessa e recente, è ancora imperfetta e fragile in molte persone. Le persone affette da DOC quindi, soffrono, si sforzano e si stancano cercando invano di controllare i propri pensieri e le proprie pulsioni e sentono la propria volontà frustrata dalle continue intrusioni insensate del sottostante, ribelle cervello primitivo, come un soggetto affetto da tics che si sforzi inutilmente di reprimere la propria incoercibile voglia di muoversi.
A livello di terapia per il DOC patologico, si è visto che i farmaci antidepressivi con componente serotoninergica riescono ad alleviare il disturbo per un certo periodo, fino a che cioè permane la loro efficacia (2-3 anni in media). Poi il disturbo, essendo di natura costituzionale, strutturale, tende a tornare (di solito in occasione di un evento stressante); riprendendo l’antidepressivo, questo funzionerà sempre meno e a lungo andare possono comparire manifestazioni che prima non c’erano come insonnia e sintomi ansioso-depressivi, risultato probabilmente della prolungata alterazione biochimica provocata dal farmaco. E’ per questo che gli psicofarmaci andrebbero utilizzati nel DOC solo per i brevi periodi di acuzie e mai nel tentativo costantemente fallimentare di sradicarlo: e’ bene piuttosto spiegare al paziente le cause del proprio disturbo e insegnargli a gestirlo e a conviverci imparando ad incanalare l’energia ossessiva in attività utili ed edificanti; non dimentichiamo che le persone ossessive, qualora intelligenti, determinate e non frenate da terapie psicofarmacologiche croniche e dannose, possono ottenere, con la loro perseveranza ossessiva, risultati eccellenti in qualunque campo si applichino, risultati spesso irraggiungibili dalle persone comuni.
Parlando poi di psicoterapia, quella di più provata efficacia è la cognitivo-comportamentale in cui il paziente (spiegato in modo molto semplificato) viene invitato a rimandare più a lungo possibile l’attuazione dei rituali o comportamenti tranquillizzanti riguardo al molesto pensiero ossessivo che, urgentemente li richiederebbe. Ad esempio se un paziente sente l’impellente bisogno di spegnere la propria ansia ossessiva tornando ripetutamente in casa, dopo essere già uscito, a controllare se ha chiuso la porta, il gas, l’acqua o le luci, lo si invita a rimandare più a lungo possibile l’attuazione di questi comportamenti stereotipati (compulsioni) perchè:
- Quando constaterà che non succede nulla acquisterà una nuova sicurezza in se stesso relativa alle temute dimenticanze e sempre meno sentirà la necessità di fare ripetute verifiche
- Se si auto impedisce di tranquillizzarsi alla solita maniera, cioè attuando ripetuti controlli, anche la produzione dei pensieri ossessivi si estinguerà perchè non trova più sfogo e soddisfazione nelle verifiche.
Vi sono comunque altri importanti aspetti che uno psicoterapeuta deve valutare per dare la necessaria profondità, efficacia ed onestà al proprio operato che non deve mai limitarsi alla rimozione del sintomo:
- come per tante altre manifestazioni psichiatriche dobbiamo considerare i vantaggi secondari che la persona affetta da DOC trae inconsapevolmente dalla propria malattia e che ne possono sostenere il perdurare a dispetto degli sforzi nostri e del paziente fatti per spegnerla; i vantaggi secondari non sono reali vantaggi per il paziente ma nascondigli che spetta allo psicoterapeuta trovare
- c’è un aspetto autopunitivo nel DOC, auto-invalidante, prova ne sia che la produzione ossessivo-compulsiva è inversamente proporzionale all’autostima del momento
- il DOC è una modalità con cui, in certe persone predisposte, si sfoga un’ansia proveniente da molte altre sorgenti costituite da conflitti e paure più o meno consapevoli e non risolte; l’ansia non ha il marchio di provenienza e se una persona, consapevole dell’irrazionalità del proprio operato, torna indietro per l’ennesima volta a controllare se ha chiuso la porta lo psicoterapeuta deve sospettare che quell’ansia non provenga realmente dal timore di non aver chiuso la porta di casa ma da ben altri problemi magari non individuati e più difficili da risolvere. Pensare che per guarire il paziente basta rimuovendogli il sintomo è quasi come credere che la colpa sia della porta. Se una persona sta vivendo un dubbio fortemente ansiogeno riguardante scelte lavorative o affettive e il suo DOC si aggrava bruscamente, concentriamoci sui suoi giusti dubbi e non sul suo DOC.
Guardiamo la luna e non il dito che la indica!
Un caro saluto ai lettori,
A. Mercuri