La pratica dello psicoterapeuta

Non c’è nulla di più importante per uno psicoterapeuta, che avere visto moltissimi pazienti per capire, al di là delle differenze individuali, che esistono “categorie” di persone che seguono destini simili, si somigliano nel modo di pensare, vivere, sentire, reagire, credere; e pure se s’ammalano psicologicamente, si somigliano. Un’ampia casistica “personale” è fondamentale per capire, a grandi linee, chi hai di fronte, con un solo colloquio.

Molti si scagliano contro le catalogazioni dei pazienti. Escludendo le motivazioni politiche, resta la comprensibile motivazione che ogni persona è unica, quindi ogni tentativo di classificarla è sciocco e dannoso. Si, è così in parte, dobbiamo concentrarci sul malato e non sulla malattia perché ognuno ha il proprio tipo di depressione, di ossessività, di schizofrenia, la stessa patologia ha terreni di coltura differenti nelle differenti costituzioni di personalità, di fisico, di educazione, d’ambiente. Però dico che ha ugualmente un senso catalogare perché, anche se ogni persona è diversa dall’altra, esistono dei “nodi”, cioè delle caratteristiche di spicco, importanti, che sono quasi sempre associate ad uno sciame di altre, e sempre a quelle: se uno è un po’ depresso, di solito è anche un po’ fobico, ossessivo, ipocondriaco, timoroso e ansioso; così, con la pratica, puoi farti un quadro abbastanza completo della persona che hai di fronte, interrogandola solo su pochi punti fondamentali.
Una seconda cosa che la pratica realizza, è la capacità di “capire” una persona anche quando è molto diversa da te o non hai mai provato ciò che prova lui; anche se non hai mai fatto un safari in Africa, quando numerose persone ti raccontano come si svolge e cosa si prova, puoi dire di conoscere il safari in Africa e di sapere cosa si prova. Certo, non è mai come se tu stesso l’avessi fatto -magari diverse volte – però è pur sempre una conoscenza pratica indiretta di grande valore.

A. Mercuri