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Анджело Меркури
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Вопросы и ответы
Ansia generalizzata
28 gennaio 2018, Loredana:
Salve dottore, mi permetto di chiederle un consulto o meglio più una rassenerazione, ho 38 anni una vita felice e appagante ma da molti anni convivo con stati di ansia generalizzata, con i vari problemi che essa provoca, il mio specialista mi ha detto di prendere 1/4 di compressa di lorazepam al mattino e una alla sera x un breve periodo finché i sintomi svaniscono e visto che poi mi viene paura della paura. Io però ho paura della dipendenza e dei problemi che posso avere una volta che termino. Spero in una sua delucidazione cordiali saluti
Gentile Loredana,
io non La conosco e poi Lei mi ha scritto molto poco quindi è impossibile darLe una risposta. In generale, gli ansiolitici (il Tavor in questo caso) andrebbero presi per un tempo brevissimo oppure sporadicamente. In generale, senza entrare nel Suo caso specifico, io consiglio di ricercare le cause dell’ansia e di trovare metodi più naturali per fronteggiarla. Tuttavia, Le ripeto, non la conosco, quindi si appoggi al proprio medico curante.
A. Mercuri
Dipendenza da EN e alcool
19 gennaio 2018, Alessandro:
Salve, sono un ragazzo di 31 anni e ormai da 10 anni prendo le gocce EN ininterrottamente (9 gocce la mattina e 9 la sera). Sono onesto, per tutti questi anni quasi tutti i sabati ho sempre bevuto alcolici in quanto mi facevano stare bene e socializzare serenamente con gli altri… nonostante le gocce… Ora, trovandomi in un periodo della mia a vita un pò complicato mi sento di essere ricascato in depressione e nemmeno più l’alcool riesce a farmi star bene, anzi ogni volta che tocco un goccio di birra o altro, il giorno dopo sto malissimo dal punto di vista dell’ansia e incapace di fare tutto. Casualmente mi sono ritrovato nel suo sito dove ho trovato delle situazioni di alcuni suoi pazienti IDENTICHE alla mia. Dopo averle lette credo che lei sia un OTTIMO specialista ed avendone conosciuto più di uno mi ispira un enorme fiducia. Io purtroppo sto vicino Roma e ho visto che invece lei si trova a Venezia. Peccato, perchè mi sarei fatto dare una mano da lei. Le chiedo solo una cosa: questi 10 anni di gocce EN in queste dosi, possono avermi portato a questa situazione di non poter più toccare alcolici? E riuscirò mai ad uscire da questa situazione di ansia e attacchi di panico che presentandosi ogni tanto inspiegabilmente limitano la mia vita? Grazie spero di non averle fatto perdere tempo leggendo questa e-mail grazie.
Buongiorno Alessandro.
E’ ovvio che non conoscendoLa posso solo darLe qualche indicazione generica.
Prendere una benzodiazepina per 10 anni (nonostante 9+9 sia un dosaggio basso) è sempre una sciocchezza. Le consiglio di smettere quanto prima però assai gradualmente. Tutto migliorera’: umore, ansia, sonno e bisogno di alcol.
E si tolga dalla testa il falso mito che le droghe come alcool, benzodiazepine o altro, ci facciano godere più intensamente le occasioni di festa come i sabati sera; essere sani e puliti da sostanze è la condizione migliore per essere attraenti, per divertirsi, per migliorarsi, per conoscersi: al sabato sera si prepari andando in palestra e non versandosi vino e gocce.
Mi dispiace di non poterLa aiutare più da vicino.
A. Mercuri
Gioco d’azzardo patologico
10 dicembre 2017, Arianna:
Egr. dr. Mercuri,
Mi rivolgo a lei, la cui attività ho potuto conoscere solo attraverso il suo sito internet, per chiedere una consulenza e un aiuto.
Sulla sua pagina ho letto con molta attenzione i suoi articoli e le risposte inerenti il problema del gioco d’azzardo patologico (mi ha particolarmente colpito il caso clinico del paziente «Alvise», ma non solo).
Da anni, circa 7 ormai, una persona a me molto vicina ne soffre, in un’altalena di fasi più acute o più lievi, ma in una spirale che ha ormai paralizzato la sua vita di 33enne di belle speranze e dalle molte possibilità, ahimè disgraziatamente compromesse.
Il mio familiare ha seguito, negli anni, due percorsi di psicoterapia, uno presso un SERT e l’altro presso un professionista privato, ma il problema persiste e la spirale di bugie, realtà parallele, crisi, paralisi (ancorché mascherate da una superficie di «normalità») non si risolve.
Io credo, da profana in materia quale sono, che in realtà ci sia un problema di forte depressione alla base, un problema di mancanza totale di autostima che viene da una storia di malattia infantile (il diabete), di insuccesso scolastico, di abbandono degli studi, di difficoltà a trovare un posto adeguato nel modo del lavoro (per un certo periodo, il mio familiare usciva di casa per andare al lavoro e, arrivato in fondo alla strada, rientrava in casa incapace di agire). Io credo che la depressione sia la causa dei comportamenti autodistruttivi che questa persona mette in atto (non-investimento su sè, menzogna, svalutazione) dei quali il gioco credo sia solo l’espressione più grave ed evidente.
Questo stato depressivo non è mai stato affrontato e curato, ci si è concentrati sul fenomeno gioco, sul controllo del denaro; mentre dalla lettura dei suoi articoli mi sembra di apprendere che la via migliore per affrontare il GAP sia quella di trattare congiuntamente questi aspetti della patologia, anche con il ricorso eventuale a farmaci.
Mi rivolgo dunque a lei per chiederle, per quanto sia possibile farlo tramite un’e-mail, quale sia l’approccio migliore da seguire, e se lei opera anche in contesti più facilmente raggiungibili per noi, che abitiamo in provincia di Piacenza, in quanto temo che la distanza che separa le nostre città sia un ostacolo alla costruzione di un percorso continuativo di terapia; nel caso, mi permetto di chiedere se può indirizzarci a professionisti che condividano il suo approccio e possano seguirci.
Non sarà facile «convincere» questa persona a farsi aiutare: so bene che non funzionano le misure coercitive nè le minacce, e so che farò molta fatica a trovare le modalità per affrontare il discorso, così delicato e importante.
La ringrazio fin da ora per il tempo e l’attenzione che vorrà dedicarmi,
La saluto cordialmente,
Arianna
Buonasera Arianna.
Spesso chi gioca d’azzardo — così come chi guarda compulsivamente pornografia, va a prostitute o assume sostanze stimolanti — cerca un appagamento facile e intenso perchè ha perso la capacità di assaporare i piaceri normali della vita, più delicati ma più profondi e prolungati.
E’ difficile curare tali persone perchè custodiscono e difendono il loro vizio, in quanto unica fonte di gioia rimasta, sebbene sia gioia effimera e meschina.
Dovrebbe scattare il senso di moralità, di responsabilità e di altruismo nei confronti di chi vive loro accanto e vuole loro bene, ma purtroppo, a parte alcuni casi rari di giocatori “compulsivi”- sofferenti per la loro condizione e alla ricerca di aiuto- tra i giocatori comuni, che sono la maggioranza, quelli noti a tutti e definiti “impulsivi”, non ne ho ancora conosciuto uno dotato di forte moralità, responsabilità, altruismo e dall’affettività ricca: queste cose non le “sentono”.
Chi gioca d’azzardo ha quasi invariabilmente una personalità tendenzialmente egoista e ipoaffettiva; anche se oggigiorno si creano ad arte sempre nuove malattie psichiatriche (perchè questo alimenta il mercato degli psicofarmaci e della psichiatria) la realtà è che il gioco d’azzardo non è una malattia a sé come fosse morbillo, varicella, o artrosi (malattie, queste, a sé stanti e indipendenti l’una dall’altra): il gioco d’azzardo è solo una delle tante manifestazioni di una personalità anomala che in tempi non sospetti di profitto economico americaneggiante, veniva definita personalità psicopatica o sociopatica.
Sia chiaro che non colpevolizzo il giocatore d’azzardo: egli è così e non né ha colpa, diverso non riesce ad essere. Ma è così.
Cordiali saluti,
Angelo Mercuri
23 maggio 2012, Francesco:
Gentile dott. Mercuri, ho 45 anni e da quando ne avevo 30 ho un grosso problema cronico col gioco d’azzardo. Gioco presso le Agenzie ippiche o al Casinò (roulette) e ora anche tramite internet. Ho già perso molti soldi, la stima e l’affetto dei familiari, mi sono ridicolizzato con gli amici ma tuttavia passo periodi di astinenza e periodi di gioco rovinosi e incontrollabili. Per ora non ho trovato beneficio nè dai farmaci, nè da una lunga terapia psicodinamica. Ho sentito che la psicoterapia cognitivo-comportamentale di cui lei si occupa è considerata scientificamente utile per il mio problema e vorrei gentilmente sapere in cosa consiste. Grazie.
Gentile Francesco,
grazie per avermi dato la possibilità di toccare l’argomento del gioco d’azzardo che sembra attualmente assumere la rilevanza di un problema sociale.
Lei, dalla modalità di gioco e dal fatto che cerca sinceramente aiuto, appartiene probabilmente a quell’esigua minoranza di giocatori «compulsivi» cioè spinti loro malgrado a giocare nonostante il gioco non procuri loro piacere. La stragrande maggioranza dei giocatori invece, sono di tipo «impulsivo»: il gioco procura loro piacere, non si pentono di quello che fanno, non cercano aiuto.
Il modello cognitivo –comportamentale vede nel gioco d’azzardo patologico un processo di rinforzo che viene somministrato secondo uno schema intermittente non prevedibile da parte del soggetto dove le sporadiche vincite agirebbero da potente determinante nell’acquisizione del comportamento maladattivo poichè rappresentano un rinforzo somministrato occasionalmente; i comportamenti acquisiti secondo tali schemi di rinforzo sono molto difficili da estinguere. Una volta acquisito il comportamento di GAP, il suo mantenimento sarebbe promosso sempre attraverso meccanismi di rinforzo: il soggetto è condizionato a mettere in atto il comportamento disfunzionale di fronte a determinati stimoli quali noia, disforia, ansia, depressione utilizzandolo come una’automedicazione’ non diversamente da ciò che accade nella condizione di dipendenza da sostanze psicotrope. Nel mantenimento del comportamento patologico un ruolo centrale sarebbe svolto inoltre dalla presenza di distorsioni cognitive circa la nozione di casualità che vede i giocatori abbandonarsi ad un pensiero di tipo magico-arcaico; infatti essi, pur essendo consapevoli dell’irrazionalità della loro credenza ‘sentono’ di poter influenzare in qualche modo il risultato del gioco. Una seconda importante distorsione cognitiva riguarda la tendenza a sovrastimare la possibilità e l’entità delle vincite e sottostimare l’eventualità e l’entità delle perdite. Il trattamento cognitivo–comportamentale si propone innanzitutto di eliminare gli stimoli condizionanti il gioco quali la frequentazione di locali dedicati, la lettura delle pagine sportive dei quotidiani e l’avere a disposizione grosse somme di denaro; anche il tempo libero andrà preventivamente organizzato escludendone il gioco d’azzardo. Ancora, servirà aiutare il paziente a delineare schemi realistici di intervento per ripagare i debiti contratti in modo da evitare l’innesco del noto processo di ‘rincorsa delle perdite’ nel quale il giocatore riutilizza proprio la modalità disfunzionale di gioco d’azzardo nel tentativo di ‘rifarsi’ e di colmare i debiti contratti. Sarà inoltre opportuno aiutarlo a trovare metodi diversi dal gioco per alleviare stati d’animo negativi ed a crearsi un repertorio di attività piacevoli ed eccitanti da svolgere in alternativa al gioco.
A. Mercuri
Forma ossessivo-compulsiva
12 marzo 2012, Maria:
Ho 32 annni e da qualche mese assumo 100 mg al giorno di sertralina per una forma ossessivo-compulsiva di cui soffro da quando ero piccola. Purtroppo nella mia famiglia ci sono diversi casi di questa patologia e il mio medico mi ha detto che è in parte ereditaria. Per tutti questi anni ho sempre rifiutato una terapia farmacologica ma nell’ultimo anno i sintomi si sono aggravati costringendomi a ricorrere ad una terapia medica. Quello che vorrei sapere è se esiste una alternativa agli psicofarmaci e in che cosa consiste la terapia di tipo cognitivo comportamentale del disturbo ossessivo compulsivo. Grazie.
Gentile Maria,
nella psicoterapia cognitivo-comportamentale del disturbo ossessivo compulsivo (D.O.C.) lo psicoterapeuta allena il paziente ad esporsi alle situazioni o ai pensieri che abitualmente innescano in lui i rituali compulsivi invitandolo a ritardarne il più possibile l’attuazione fino ad arrivare all’estinzione dei rituali stessi. Parallelamente il lavoro si svolge sul piano cognitivo: verrà invitata a «sorvegliare» i suoi stessi pensieri per correggere ciò che in essi vi è di patologico e di irrazionale al fine di togliere ad essi la carica ansiogena che fa da innesco ai rituali coatti.
Attualmente si tende ad integrare la farmacoterapia alla psicoterapia (di quella cognitivo comportamentale ne è ben documentata l’efficacia). Generalmente nel DOC conclamato si comincia con un antidepressivo serotoninergico (tipo quello che lei stà assumendo) per attenuare la sintomatologia più acuta; dopo qualche mese si comincia la vera e propria psicoterapia. Quando il terapeuta avrà stabilito che lei è in grado di padroneggiare i sintomi DOC potrà sospendere gradualmente (almeno 2-3 mesi a scalare) la terapia farmacologica e continuerà la psicoterapia fino al consolidamento dei risultati. A questo punto le sedute potranno essere diradate rimanendo comunque sempre in contatto col terapeuta al fine di svelare precocemente eventuali sintomi di recidiva.
A. Mercuri
11 marzo 2012, Marco:
Gent. dott. Mercuri sono uno studente universitario di 28 anni.Ho cominciato a manifestare i primi sintomi di ossessività verso i 9-10 anni sotto forma di idee intrusive e persistenti ma senza rituali; questi ultimi sono comparsi negli anni successivi compromettendo la mia carriera scolastica, influendo sulla mia vita sociale ed affettiva. Da due anni circa ho cominciato a provare ansia e irrequietezza e diminuzione degli interessi. Certe giornate mi sveglio e vorrei che fosse già sera per chiudere la giornata. Da 4 anni circa sono in cura da una psicoterapeuta: mi ha sicuramente aiutato a far luce e a rievocare e riordinare la mia vita passata ma senza miglioramento della sintomatologia che anzi mi sembra aggravarsi. Non ho mai preso psicofarmaci. Vorrei sapere in cosa consistono e su quali basi si fondano le tecniche cogn. comportamentali di cui ultimamente ho sentito spesso parlare positivamente. Grazie
Caro Marco, grazie innanzitutto per avermi scritto.
La depressione con ansia di cui mi parli, nota come disforia, è una frequente complicanza del DOC ed è dovuta al cronico senso di impotenza di fronte all’incapacità di controllare le proprie pulsioni ossessive. A ciò vanno aggiunti anche i ripetuti insuccessi di cui tu stesso mi parli. Spesso la disforia alimenta il DOC creandosi così un circolo vizioso. Per quanto rigurda le basi teoriche su cui si fonda la terapia del DOC non posso risponderti diffusamente in questa sezione del sito ma ti risponderò privatamente via e-mail dandoti anche qualche consiglio bibliografico.
Comunque, il cardine della terapia comportamentale del DOC si basa sulla tecnica di abbinamento dell’esposizione (di solito graduale) alla situazione o pensiero temuti con la prevenzione della risposta compulsiva che solitamente ne consegue per neutralizzare l’ansia. La prevenzione della risposta può essere effettuata anche dilazionando nel tempo la messa in atto del rituale qualora il paziente non tollerasse l’ansia dovuta all’improvviso e totale impedimento. Questa tecnica si basa sulla natura stessa delle compulsioni che dando al soggeto un momentaneo sollievo all’ansia ne divengono una forma di ‘automedicazione’ radicandosi sempre più nel comportamento dell’individuo in un circuito a retroazione positiva. La forzata astinenza dai rituali coatti (pur aumentando temporaneamente l’ansia) ne provoca l’estinzione venendo a mancare il rinforzo comportamentale positivo che li alimenta. Il soggetto ne «apprenderà» l’inutilità.
Sul versante cognitivo si lavora invece sull’elaborazione di un vissuto più sereno delle intrusioni mentali presenti nel soggetto cercando di coreggere (ristrutturazione cognitiva) i 6 punti cruciali di distorsione cognitiva che accompagnano le ossessioni e cioè:
-sovradimensionamento della responsabilità personale
-eccessiva concretezza data ai pensieri
-sensazione di discontrollo mentale dovuta all’intrusività dei pensieri ossessivi
-visione catastrofica delle conseguenze di un pensiero o situazione temuti
-intolleranza della natura probabilistica della nostra vita
-perfezionismo.
Tieni presente che può essere necessario rompere il circolo vizioso disforia-ossessività anche con l’aiuto di un trattamento farmacologico che non dovresti rifiutare per principio.
A. Mercuri
Benzodiazepine
19 gennaio 2019, Francesca:
Gentile dottor Mercuri, da quattro anni assumo 1,5 mg di lorazepam (Tavor) ma ora vorrei smettere. Mi risulta però difficile anche perchè, per farmi aiutare, sono andata da più psichiatri i quali invece che concentrarsi sullo scalare la benzodiazepina mi hanno proposto di affiancare ad essa un antidepressivo. La ringrazio se vorrà rispondermi. Francesca
Buongiorno Francesca. Non è un problema, di per sè, togliere una benzodiazepina, basta farlo lentamente; se però una persona ha problemi psicologici sottostanti allora può diventare difficile. Il fatto che gli psichiatri le vogliano affiancare un antidepressivo potrebbe orientarmi verso la coesistenza di qualche problemino.
Le posso dire solo cose generiche, non mi ha dato elementi sufficienti per risponderLe in modo personalizzato.
A. Mercuri
15 gennaio 2019, Fabio:
ho 70 anni, e per moltissimi anni ho assunto dai 2 ai 3 mg al giorno di Tavor (Lorazepam); vorrei ora liberarmene ma non so se quest’impresa, vista l’età e la durata della dipendenza, sia possibile.
Gentile Fabio,
penso che, per stare meglio, non sia mai troppo tardi. In particolare, nel suo caso, consideri che le benzodiazepine negli anziani sono veleno per il cervello, soprattutto per la dimensione cognitiva: memoria, interessi, attenzione. Si tolga il Tavor dunque, ma lo faccia con la dovuta lentezza, che in termini pratici può significare passare alle gocce (1 mg di lorazepam= 20 gtt) e togliere 1 gtt ogni tre giorni circa, con alcune soste, anche di una settimana, quando ne sente il bisogno.
A. Mercuri
12 gennaio 2019, Marianna
Salve dottore volevo sapere se lavora anche a Milano, visto che io vivo li. Sarei molto interessata ad esser visitata da lei, ho 49 anni e faccio uso di Minias gocce da circa 8 anni, in periodi buoni con 10 gocce circa la sera, in periodi meno buoni come questo anche 20 tra la sera e la notte. Prima, quando ero studentessa, prendevo delle gocce di Lexotan per calmare la mia ansia. È un periodo in cui mi sento particolarmente depressa e affaticata e vorrei liberarmi da questa dipendenza. La ringrazio per il suo tempo e attendo notizie. Grazie, Marianna.
Buongiorno Marianna. Purtroppo, dopo tanti anni di assunzione di Benzodiazepine, si verifica l’accorciamento progressivo dell’effetto ansiolitico che diventa brevissimo lasciando il posto ad un cronico stato ansioso-depressivo . E’ tipico quindi assumere le gocce prima di dormire e poi svegliarsi dopo due-tre ore e doverne prendere ancora. Penso davvero sia ora dismettere. Il fatto che Lei già pasticciasse con le Benzodiazepine da studentessa, mi dà dispiacere perchè è una cosa diffusissima tra gli studenti e apre la strada alla futura dipendenza perchè anche un uso non continuativo di tali sostanze predispone ad abusarne in futuro. Senza contare che la resa nello studio dopo avere assunto una Benzodiazepina, è solo apparentemente maggiore ma in realtà non c’è sostanza più deleteria per l’apprendimento! Cordiali Saluti,
A. Mercuri
18 settembre 2019, Chiara:
Gentile dottor Mercuri, ho 35 anni e insegno Lettere in un Liceo. Da circa dieci anni combatto contro una dipendenza da ansiolitici ( tavor, valium, lexotan) da cui non riesco a liberarmi perchè ogni volta che cerco di smettere mi compare un insopportabile stato ansioso-depressivo che si attenua solo riassumendo la dose consueta. Nemmeno una terapia psichiatrica con un antidepressivo protratta per un anno mi ha dato giovamento perchè nonostante l’umore fosse migliorato, non sono ugualmente riuscita a smettere. Mi accorgo che dopo dieci anni di assunzione dei suddetti ansiolitici, il mio umore , il sonno, la memoria e le relazioni sociali si sono deteriorati. Volevo chiederLe un consiglio. Grazie.
Gentile Chiara,
ti premetto che dai pochi dati a disposizione non posso darti un consiglio specifico per il tuo caso. In generale comunque, la dipendenza da ansiolitici (benzodiazepine) quando è di vecchia data come nel tuo caso non è facile da eliminare. La regola fondamentale per disabituarsi alle benzodiazepine è tuttavia la diminuzione lenta del dosaggio. E’ indispensabile pertanto passare alla formulazione in gocce del farmaco e poi toglierne una goccia al giorno o anche ogni due, tre giorni; sta a te stabilire la cadenza giusta. Se parti da un dosaggio ad esempio di 90 gtt al giorno non devi scoraggiarti pensando che potresti metterci anche un anno ad eliminarle completamente: ne vale la pena!
Talvolta, nei casi difficili di disassuefazione, oltre ad un antidepressivo si usa associare l’acido valproico che funziona da sostituto delle benzodiazepine (senza però dare dipendenza) anche se io preferisco disassuefare i miei pazienti dalle benzodiazepine lentamente e senza introdurre nessun nuovo farmaco.
Ti ripeto comunque che le mie sono solo informazioni generiche e ti esorto a farti seguire da uno specialista che esaminerà il tuo caso.
Cordiali Saluti,
A. Mercuri
26 gennaio 2018, Lorenzo:
Egregio dottor Mercuri, ho 66 anni e da circa dieci anni assumo, quasi regolarmente, il Rizen 10 mg compresse. Lo prendo solo la sera per una insonnia conseguente al lavoro notturno turnificato per parecchi anni ed una leggera forma di ansia generalizzata. Volendo smettere, ne ho parlato con il mio medico che mi ha prescritto Sereupin (paroxetina) 20 mg compresse. Non mi dilungo molto e le pongo due domande su cui, il mio medico, è stato evasivo nonché elusivo: non volendo sospendere di colpo il Rizen, sono circa sette giorni che, anziché 10 mg, ne prendo solo cinque, mezza compressa, non manifestando alcun disturbo e, nel contempo, assumo mezza compressa di Eutimil, quindi 10 mg, dopo pranzo. Avendo adattato, da solo, la posologia, vorrei sapere tempi e modi per ridurre ulteriormente, fino all’azzeramento del Rizen e se è opportuno aumentare la dose di Sereupin ed in che modo. La ringrazio per il tempo che vorrà dedicarmi e chiedo scusa per l’eventuale fastidio.
Cordiali saluti, Lorenzo
Caro Lorenzo,
La Sua domanda mi era sfuggita e ho avuto modo di leggerla solo oggi, per caso; perciò Le rispondo dopo tanto tempo e di questo mi scuso.
Innanzitutto, bisogna vedere se è il caso o meno di cominciare una terapia antidepressiva perché la disassuefazione dalle benzodiazepine si può fare benissimo anche senza l’aiuto di altri farmaci: l’antidepressivo si prende soltanto se ci sono gravi motivi per farlo. Perché?
Perché gli antidepressivi danno una grande dipendenza di cui si parla troppo poco. E’ forse più difficile liberarsi di un antidepressivo che di un ansiolitico.
Se ci sono gravi motivi per farlo, si usa generalmente cominciare come ha fatto Lei, con metà dose e, se dopo una settimana tutto va bene, si passa al dosaggio pieno che, nel caso della Paroxetina, sono 20 mg/die.
Quanto al Rizen che è la benzodiazepina, avendola presa per dieci anni ha sbagliato a dimezzarne la dose (da 10 mg a 5 mg) in soli sette giorni, ha sbagliato anche se, per ora, non avverte disturbi. Doveva passare alla formulazione gocce e togliere 1 gtt ogni tre giorni circa, anche con qualche pausa di assestamento di una settimana qualora ne sentiva il bisogno: con tale lentezza, “inganna”corpo e mente ritrovandosi libero dal Rizen senza disagi, anzi, stando sempre meglio.
Cordiali Saluti,
Angelo Mercuri
19 gennaio 2018, Francesca:
Gentile dott. Mercuri, le scrivo perchè il mio compagno, che ha problemi di timidezza nell’affrontare il suo problema, abusa di benzodiazepine almeno da due-tre anni, prendendo un centinaio di gocce di minias al giorno. E’ già stato da uno psichiatra ma non è servito a risolvere questo suo problema. C’è molta vergogna in lui e preoccupazione che la notizia diventi pubblica che lo blocca dall’agire per risolvere il problema. Lui è di Pistoia io sono di Siena. Può darci qualche indicazione su come potrebbe venire fuori dalla sua dipendenza? C’è la possibilità di venire ricoverati per affrontare sotto controllo la disintossicazione? Ha già contattato Verona ma gli hanno detto che non trattano casi con il suo dosaggio e lo hanno lasciato a sè stesso. I problemi fisici stanno cominciando a manifestarsi e non riesce a smettere perchè passerebbe notti insonni e non sarebbe in grado di andare a lavorare la mattina dopo. Mi scuso se sono io a scriverle ma in questo momento lui non riesce a fare altro che chiedere aiuto a me e io so di non poterlo aiutare, tranne nel trovare una situazione che lo possa aiutare veramente. Cordialmente
Buongiorno Francesca,
siamo distanti e non posso fare molto. In generale la disintossicazione in sede di ricovero non funziona. Bisogna smettere da soli, in modo lentissimo (1 gtt ogni tre giorni con varie soste anche di una settimana). Però ci vuole costanza e motivazione. Facendo così comunque il successo è assicurato. Purtroppo non vedendo la persona posso dare solo un consiglio standard e nulla dippiù. Bisogna vedere quali altri problemi psicologici ci sono e curarli in parallelo perchè chi diventa dipendente da benzodiazepine, generalmente, qualche disagio psicologico sottostante ce l’ha.
Cordiali saluti,
Angelo Mercuri
13 dicembre 2017, Carla:
Egr. dott. ho visto il suo sito in internet ed ho potuto leggere le testimonianze dei suoi assistiti. Avrei bisogno del suo aiuto. Vivo a Monza vicino a Milano. Mio figlio di 27 anni soffre di una dipendenza da psicofarmaci. Il problema di fondo da sempre è il rapporto molto conflittuale con suo padre con il quale non è mai riuscito a parlare e che lo ha sempre un pò vessato anche concedendogli tutto quello che lui chiedeva e mio figlio ne ha sempre avuto paura subendolo. Il problema si è acuito lo scorso anno quando il padre ha iniziato a pressarlo con insistenza per lo svolgimento di due tesi x i master che aveva concluso. Il ragazzo ha sentito la situazione talmente pesante da iniziate a prendere ansiolitici (tavor) per affrontare il padre. Ha dato le tesi con successo ma è caduto in un forte stato di ansia e pensavo depressione x un certo periodo. Non voleva più fare niente solo dormire non uscire e non cercare più il lavoro che per un pò non ha trovato. Il suo medico gli ha prescritto il Pasaden x abbandonare il Tavor e consigliato una psichiatra che gli ha prescritto una cura di antidepressivi, mai fatta. Dopo alcuni mesi e il mio aiuto ha trovato il lavoro che gli piace molto, quello che voleva ed è tornato allegro e con voglia di fare ed apparentemente anche il rapporto col padre va un pò meglio. Ma ormai prende il Pasaden tutte le sere e dopo un anno è arrivato a prenderne da 2/3 e anche 5 pastiglie da 1 mg per dormire la sera. Non vuole il mio aiuto e asserisce che dovrà prenderlo tutta la vita perchè ormai ne ha bisogno e non lo prende durante il giorno ma dice che a volte ne sentirebbe il bisogno. Per ora ha solo sbalzi di umore ed è un po aggressivo a volte, ma sembra che il lavoro non ne risenta anche perchè non è in crescendo ma salta da 2 a 4 poi torna a 2 e cosi via. La prego mi dia un consiglio su come posso fare a convincerlo che si sta rovinando e se mi puó dare il nominativo di un suo omologo dalle mie parti che lo possa aiutare! Mi spiace di questo mio sfogo ma sono disperata e non so cosa fare. La ringrazio infinitamente in anticipo. Carla
Gentile Carla,
effettivamente il problema c’è perchè gli ansiolitici alla lunga sono dannosi. Suo figlio dovrebbe senz’altro smettere anche perchè non ha più alcun senso quella terapia. Deve comunque farlo molto gradualmente, passando alla formulazione in gocce, e togliendo non più di una goccia ogni tre giorni. Se riesce così, meglio; sennò, la terapia antidepressiva da affiancare durante la disassuefazione può essere necessaria, ma solo come seconda opzione in quanto anche gli antidepressivi danno forte dipendenza e hanno effetti collaterali.
Queste sono solo regole standard, regole generali; non posso andare nello specifico di Suo figlio perchè non lo conosco.
Tenga tuttavia presente che la prima cosa è la convinzione del ragazzo di smettere l’assunzione dell’ansiolitico ma se lui non sente il problema è impossibile che smetta; la questione pertanto si sposta sulla domanda:»Come convincerlo che alla lunga si danneggerà?». La verità è che quell’ansiolitico un pò alla volta farà sempre meno effetto e provocherà esso stesso ansia e depressione; bisogna farlo presente alla persona interessata ma, si sa che spesso purtroppo, per convincerci che una cosa detta dagli altri era vera, dobbiamo toccare con mano, fare l’esperienza.
Sinceramente non saprei fornirLe un nominativo per la sua zona: il problema degli ansiolitici, pur essendo una piaga a livello mondiale, è ancora poco riconosciuto, anche dai medici, perchè ancora forte è l’errata convinzione che «essendo farmaci, tanto male non possono fare se assunti a dosi terapeutiche».
Se vuole proporre a Suo figlio una lettura in merito per provare a sensibilizzarlo, trova un mio manualetto in internet: «Tranquillanti, come liberarsene».
Cordiali Saluti,
A. Mercuri
18 ottobre 2017, Elena:
Salve dottore mi chiamo elena e ho 48 anni.per 25 anni ho fatto uso dello xanax sviluppando cosi una forte dipendenza.da 3 anni ho iniziato a scalare le dosi ma solo 3 mesi fa ho deciso di farmi ricoverare per disintossicarmi.dimettendomi mi hanno prescritto la liryca da 75 mg 3 volte al di e il seroquel da prendere prima di andare a dormire la sera da 50 mg perché prendo 2 compresse da 25 mg.dell’antidepressivo ne sto facendo a meno.premetto che ho iniziato a prendere lo xanax per una leggera ansia.da quando sono uscita dall’ospedale 3 mesi fa ho disturbi che non mi permettono ancoea una vita nornale.ho paura dei coltelli paura di impazzire e paura paura di tutto.poco alla volta superando le paure sto riprendendo in mano la mia vita.mi chiedevo se questa fase sia normale perché mi spavento molto quando ho paura di impazzire..mi chiedevo se questi disturbi possano essere dovuti dalle medicine che assumo da quando sono uscita dall’ospedale o è una fase normale della disintossicazione.in attesa di una sua gentile risposta la saluto.elena
Buongiorno Elena.
Quando si assumono Benzodiazepine fin da giovani e per 25 anni tutto lo sviluppo della personalità ne risulta turbato: durante l’assunzione non si è mai «se stessi» e non si impara mai a conoscersi. Così ora Lei si risveglierà un pò alla volta e imparerà a conoscersi, a gestirsi e a trovare un equilibrio.
Generalmente, allo smettere dell’assunzione cronica e dopo un periodo di assestamento, si diventa molto migliori.
A. Mercuri
Astinenza da Mirtazapina
Venerdì 28 dicembre 2018 mi chiedeva un’utente (donna):
ho sospeso la Mirtazapina (Remeron) circa due mesi fa, e l’ho fatto anche gradualmente però ora provo inappetenza e nausea: possono questi sintomi essere dovuti all’interruzione del suddetto trattamento?
Mia risposta:
Si. La mirtazapina ha due effetti pressochè immediati: migliora il sonno e fa aumentare l’appetito.
Alla sospensione, soprattutto se il farmaco è stato assunto per mesi, possono comparire sintomi opposti: anoressia, nausea, insonnia; questo si può prolungare anche per diverse settimane dopo la totale sospensione.
Menopausa e depressione
Giovedì 27 dicembra 2018 Giovanna mi ha scritto:
“Ho 46 anni e sono in menopausa da qualche mese. Oltre ai consueti sintomi (vampate, irritabilità) ultimamente soffro anche di insonnia. La mia ginecologa mi ha prescritto la terapia ormonale sostitutiva e 10/15 gtt di Minias la sera.
Io, il Minias l’ho assunto saltuariamente per due mesi (4-5 volte a settimana) ma voglio sospenderlo perché dormo ugualmente poco e, in più, da quando lo assumo, mi sento apatica, depressa, ho tachicardia e senso di confusione mentale, cose che prima non avevo.
Ho dovuto inoltre sospendere il trattamento con la terapia ormonale sostitutiva perché mi è salita molto la pressione arteriosa.
Le chiedo come scalare il Minias fino a sospenderlo e se, per l’insonnia, possono essere efficaci rimedi naturali come Passiflora e Griffonia.
Mia risposta:
Gentile signora,
la fase di transizione verso la menopausa è tipicamente associata ai disturbi da Lei descritti, calo dell’umore e insonnia comprese. In questi casi, il ginecologo valuta se rendere più dolce la transizione con una terapia ormonale sostitutiva, ove non vi siano fattori di rischio.
Per quanto riguarda il Minias come suggerimento per correggere l’insonnia, lo trovo sbagliato. Ci sono molti altri rimedi più efficaci e meno tossici. Come toglierlo?
Dopo due mesi di assunzione quasi continuativa, il cervello si è abituato. Pertanto io Le consiglierei di togliere una goccia al giorno fino ad arrivare a 10; poi togliere una goccia ogni tre giorni fino ad arrivare a 0 (10-10-10; 9-9-9; 8-8-8; e così via). Se lo toglierà definitivamente in un mese e mezzo.
Quanto a Passiflora e Griffonia, sono rimedi efficaci (non è omeopatia ma fitoterapia!) ma certamente dolci e naturali; se anche il disturbo è dolce e naturale sono sufficienti, se no, ci sono molti altri rimedi da provare: terapia ormonale sostitutiva se tollerata e non rischiosa, integratori alimentari e vitamine concentrati se il disturbo è di entità media, antidepressivi se il disturbo è molto grave.
Non dimentichi infine di farsi una cultura sulla menopausa, leggendo articoli e testi di valore in cui, oltre a nozione tecnico-scientifiche, troverà che la menopausa è una fisiologica fase della vita con un suo preciso significato biologico, tanto quanto l’età fertile.
Cordiali Saluti,
A. Mercuri
Disturbi ossessivi e Trittico
Buongiorno dottore,
sono Marco, 24 anni, studente universitario molto impegnato sia in politica che in ambito sociale.
In seguito ad un litigio con mio padre ho avuto un crollo emotivo al quale è seguito una fase di 2-3 mesi di ansia, ipocondria (numerosi accertamenti medici negativi), pensieri ossessivi di violenza e morte.
Con 150 mg di Trittico a rilascio prolungato/die + Xanax 0,5 mg 1 cpr/die mi sento meglio ma con alti e bassi.
Non ho mai avuto problemi di questo tipo e a tutt’oggi non avrei motivi per esser triste o ansioso, ma con la psicoterapia è venuto fuori che il grosso erano cose pregresse, di infanzia, legate a violenze domestiche e litigi tra i miei genitori.
La ringrazio per l’attenzione,
Marco
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Buonasera Marco. Mi sembra che Lei sia abbastanza ben seguito, da uno psichiatra e da uno psicologo. Nel Suo caso, davvero non potrei dire nulla di sensato senza conoscerLa.
In generale, posso dirLe che il Trittico non si usa da solo nelle forme ansioso-depressive con ossessioni. Ci sono farmaci più efficaci. Quanto allo Xanax, se prende solo 1 cpr/die da 0,50 non è molto ma le benzodiazepine vanno assunte solo per periodi brevissimi o sporadicamente.
Quanto a ciò che è emerso con lo psicoterapeuta, La invito a non fissarcisi sopra troppo perché gli eventi traumatici o le sofferenze croniche dell’infanzia sicuramente influiscono sulla nostra personalità ma non determinano le malattie psichiatriche le quali sono invece legate a fattori genetici o ambientali attuali.
Cordiali Saluti,
A. Mercuri
Psicofarmaci e obesità
DOMANDA
Il giorno 2 febbraio 2020, Francesco, 23 anni, affetto da Disturbo Ossessivo Compulsivo, mi chiede:
«Quale tra i seguenti farmaci è più responsabile del mio aumento di peso con adipe localizzata prevalentemente a livello addominale: Serenase (aloperidolo) 20 gtt, Trilafon (perfenazina) 2 mg 1 cp, Anafranil (clomipramina) 25 mg 2 cp, Prozac (fluoxetina) 20 mg 2 cp?»
RISPOSTA
Gentile Francesco,
in generale, Serenase, Trilafon e Anafranil fanno aumentare di peso mentre Prozac lo fa perdere; dirti quale sia il farmaco che ti fa più aumentare di peso tra i tre implicati, mi risulta difficile ma ipotizzo che siano Serenase e Anafranil in quanto Trilafon 2 mg/die è davvero un dosaggio minimo. Ti posso comunque dare alcune informazioni di base in merito alla questione.
Serenase e Trilafon sono due farmaci sedativi cosiddetti “maggiori” perché sono molto potenti e si usano, ad alto dosaggio, per le gravi malattie mentali come la schizofrenia. Sono tuttavia usati anche, a basso dosaggio, nei disturbi psichiatrici minori caratterizzati da grave insonnia, ansia o agitazione. Ci sono vari motivi per cui provocano aumento di peso: accelerano lo svuotamento gastrico, fanno aumentare l’appetito, rallentano il metabolismo, fanno dormire dippiù, danno pigrizia fisica, tutto questo attraverso la loro azione sui sistemi dopaminergico, serotoninergico, istaminergico, colinergico, adrenergico. Ancora, non dobbiamo dimenticare che provocano aumento della prolattina e conseguente diminuzione degli ormoni sessuali il che provoca, sia nell’uomo che nella donna, disturbi sessuali, tendenza alla depressione e diminuzione della massa muscolare, sostituita da tessuto adiposo.
Anafranil invece è un antidepressivo che fa aumentare di peso prevalentemente per via della sua potente azione antiistaminica anti H1 centrale, responsabile di sedazione e aumento di appetito. Anche Anafranil può far aumentare, sebbene in misura minore, la produzione di prolattina il che contribuisce all’aumento di peso.
Fluoxetina invece, forse per la sua proprietà di innalzare i livelli di noradrenalina oltre che di serotonina, tende a far perdere appetito e peso.